Il Giovedì di Pasqua di quest’anno a Locri è stato diverso. Forse molti non l’hanno notato in quella cittadina dove in molti sanno ma scelgono sempre di tacere o guardare altrove, preda di acquiescenza, sudditanza fatalista, alla ‘ndrangheta ed alla mafiosità. Alla vigilia dei Sepolcri le spoglie sono chiamate a dare impulso ai doversi di verità e giustizia...
Erano trent’anni che non accadeva. Molti non lo credevano (o volevano) e molti ancora non vogliono. In troppi avevano tentato di isolare e lasciare sola, colpire meschinamente con mano o con verbo, quella madre che mai ha rinunciato a chiedere verità e giustizia per l’assassinio di suo figlio e per le altre vittime della barbaria mafiosa e della cultura dell’omertà. L’autorità giudiziaria, dopo i risultati delle perizie balistiche ed alla luce delle informazioni dettagliate raccolte e risultate fondate, ha disposto la riesumazione di Massimiliano Carbone, morto il 24 settembre 2004 dopo giorni e giorni di agonia, per mano dell’assassino che sotto la casa del ragazzo gli sparò, nascosto da un muretto, con un fucile a canne mozze. Con i familiari di Massimiliano vi erano, insieme ai periti ed all’autorità giudiziaria tutti i responsabili delle Forze dell’Ordine, e vi era anche il pensiero di Don Luigi Ciotti che su quella tomba si recò a pregare pochi mesi fa. La prova che l’autorità giudiziaria cerca è quella definitiva, per il movente e per non permettere che l’assassino possa commettere altri danni e violenze. Certo è grave che la giustizia sia lenta, è responsabilità inaudita che chi sopravvive ai propri cari trucidati debba pagare caro per aiutare gli inquirenti a compiere il proprio dovere. Certo è gravissimo che in molti abbiano scelto di non schierarsi, a Locri, dopo l’omicidio, non opponendosi ai tentativi di delegittimazione e minaccia portati a quella madre che chiedeva, e sta ottenendo, giustizia per suo figlio ucciso e per i vivi. Gravissimo come la congiura del silenzio che permise quell’omicidio, per quel non schierasi con lo Stato e con la vita, in quella terra. L’insegnamento di Massimiliano, come l’insegnamento costante e fermo, rigoroso e autentico, di Liliana, sono esempio concreto che anche nella Locride, terra di mafia, è possibile credere e ottenere verità e giustizia.
Con Liliana, la Casa della Legalità, a Locri è impegnata per dare sostegno a tutti i famigliari delle vittime di mafia. Un dovere naturale, civile, amplificato dalla grande mobilitazione del 21 marzo a Polistena con Libera, per la giornata della memoria e dell’impegno. Un impegno per non lasciare soli coloro che sopravvivono ai morti ammazzati o alle morti bianche, insieme ad una coerente, quotidiana, iniziativa di educazione alla legalità ed alla giustizia sociale. Ecco, dunque, che non ci si può fermare, ma bisogna andare avanti, con sempre maggiore impegno, per far incontrare ai cittadini quello Stato che esiste e che ha il dovere (e le capacità) di garantire verità e giustizia a ciascuno. Siamo, ad esempio, ancora in attesa che sia dato sostegno alla famiglia Vettrice (una madre e tre bambini), che nonostante le promesse di tanti (troppi), da Clemente Mastella a Agazio Loiero, dalla signora Laganà e via discorrendo sta ancora aspettando quell’aiuto dovuto, promesso e ripromesso. Spesso è il mutuo sostegno dei cittadini liberi, della loro dignità, di associazioni semplici, come ad esempio anche il CIDS in quella terra di Calabria, che fa supplenza allo Stato perché ci sono uomini delle Istituzioni che ignorano o usano strumentalmente il dolore ed il bisogno. Come anche il caso del Testimone di Giustizia che, senza scorta, ha voluto tornare in Aula e confermare le accuse alla ‘ndrangheta, da cittadino esemplare e che ha avuto il sostegno e la “scorta” dei ragazzi di Libera. Ecco perché si può e si deve andare avanti e fare ancora di più.
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