Gli agenti della Guardia di Finanza in collaborazione con DIA ha eseguito oggi una maxi operazione contro la criminalità organizzata cinese in Italia. Ed i numeri dell'Operazione CIAN LIU, ovvero "FIUME DI DENARO", parlano chiaro: 24 arresti per associazione mafiosa (cinesi ed italiani), suquestri per 73 aziende, 181 immobili e 166 auto di lusso. Sono otto le regioni coinvolte: Toscana, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Sicilia e 2,7 miliardi di euro riciclati negli ultimi quattro anni...
Il magistrato che ha coordinato l'inchiesta, Pietro Sucan ha sintetizzato: "un fiume di denaro fra Italia e Cina e un fiume di clandestini dalla Cina all'Italia, in una palude di convivenze, omissioni e interessi illeciti, non solo di cinesi, ma anche con la complicità interessata di diversi italiani".
Ed alla fine di una lunga indagine ecco il quadro al centro dell'Operazione di oggi.
Nel 2006 l'organizzazione cinese acquisiva una partecipazione di una società di "money transfert" (con sede legale a Bologna ed agenzie in tutto il Paese). L'Italia è al secondo posto a livello mondiale, seconda solo agli Stati Uniti, per il trasferimento di denaro attraverso i "money transfert" e, per restare ai movimenti verso la Cina, si è passati da 83 milioni di euro dal 2005 a 596 milioni nel 2006 ed a 1.800 milioni di euro nel 2010. Grazie alla regolamentazione del settore varata con il Pacchetto Sicurezza nel 2009 si sono potuti attivare non solo i controlli su quanti effettuavano trasferimenti pur in assenza del permesso di soggiorno, ma anche per i movimenti effettuati con generalità false o di persone ignare. Attraverso le filiali di Prato, Sesto Fiorentino, Empoli, Milano, Roma, Napoli, infatti venivano riciclati o soldi frutto delle attività illegali svolte dalle numerossime imprese cinesi disseminate nelle province di Firenze e Prato.
Ma la mafia cinese non si limitava a trasferire i capitali illeciti verso la Cina con il "money transert", bensì aveva imparato benissimo l'arte del riciclaggio, anche al fine di sfuggire alle restrizioni inserite per tali movimentini nel 2009 con il Pacchetto Sicurezza. Ha quindi iniziato a servirsi del passaggio attraverso i paradisi fiscali. Infatti i capitali da riciclare hanno iniziato con il passare dalla "porta" di San Marino. La Guardia di Finanza ha infatti identificato un cittadino cinese che aveva contatti con una società finanziaria-fiducuaria con sede centrale e legale a San Marino e sportelli a Forlì, Bologna e Milano, oltre che in Europa (Lugano, Montecarlo, Lussemburgo e Londra). E' attraverso questa società che il cinese, dopo aver raccolto i fondi dai connazionali nella zona di Sesto Fiorentino, procedeva ad inviarli in Cina. Incassati i soldi venivano portati in auto presso la sede della società a San Marino. Il cinese riceveva un compenso di 40 euro ogni 10mila trasportati ed ogni viaggio avveniva con circa 50mila euro, ed in un caso è stato accertato un trasporto di 200mila euro in contanti.
Ecco che quindi appare di evidenza assoluta l'estremo potere economico della mafia cinese su ampia parte del territorio italiano, una realtà che le ipocrisie nostrane si ostinano a non voler vedere ed affrontare, mentre divora il tessuto commerciale, annienta il settore tessile "legale", con schiere di schivi (anche minorenni) sfruttati in capannoni senza possibilità di fuga. Una mafia chiusa, impenetrabile, capace di gestire un flusso costante di immigrazione clandestina di esseri umani destinati ai laboratori ma anche allo sfruttamento della prostituzione.
Quando la società e le pubbliche amministrazioni si renderanno conto della portata di questa organizzazione, su cui magistrati e reparti investigativi continuano a mettere in guardia, restando praticamente inascoltati, rischiamo che sia troppo tardi.