Dobbiamo squarciare il muro di silenzio, indifferenza e isolamento, che avvolge quanti combattono contro le mafie a rischio della propria vita, in uno Stato che nelle sue alte sfere non ha mai voluto sconfiggerle...
Nella nostra Italia abbiamo agenti dei reparti investigativi e magistrati, che rischiano la vita, estremamente determinati e preparati, a cui però è stato reso praticamente impossibile lavorare con le diverse leggi approvate negli anni trascorsi e con i tagli delle spese. Abbiamo anche una "società responsabile" diffusa che, come dice don Luigi Ciotti, si sporca le mani nella lotta, concreta, quotidiana, senza equilibrismi, alle organizzazioni mafiose ed alla "zona grigia" che la protegge e la nutre. Ma questo, tutto questo, non basta, perché c'è chi - quella "zona grigia" fatta di connivenze, contiguità e quindi complicità - sta con gli uomini di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorre.
Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto intuirono che contro le mafie ed il muro di omertà e complicità che le circonda, vi erano alcuni strumenti essenziali (fondamentali) che soltanto potevano far vincere allo Stato questa "guerra". Uno di questi strumenti è il carcere duro, il 41 bis che isola i mafiosi, l'altro è la confisca dei beni ai mafiosi ed il loro uso sociale che rende evidente che le mafie possono essere sconfitte e che la legalità conviene a tutti e significa scuole, centri di aggregazione, occasione di lavoro dignitoso e onesto. Poi vi è quello strumento perseguito fortemente dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e dal giudice Giancarlo Caselli, che si dimostrò tanto indispensabile quanto efficace nella lotta al terrorismo: i "collaboratori di giustizia" unici in grado di spiegarci le dinamiche e l'organizzazione interna, le connivenze, le contiguità e complicità con quella zona grigia dell'economia, delle Istituzioni e dello Stato. Tutti questi strumenti sono ormai stati indeboliti, resi inefficaci, come diceva Faber da uno "Stato che si indigna, si impegna e poi getta la spugna con gran dignità". In ultimo vi è quello dei "testimoni di giustizia", cittadini che decidono di denunciare i fatti criminosi di cui sono vittime o di cui sono a conoscenza, aiutando lo Stato a colpire i mafiosi. Anche questo strumento indispensabile è stato indebolito quando non, in alcuni casi, annientato. Eppure senza le denunce, le testimonianze di chi è vittima della mafia il lavoro di quegli agenti e magistrati non può andare a buon fine, a volte non può nemmeno iniziare.
Per condannare servono prove, serve che chi è testimone o collaboratore confermi in aula quanto ha già verbalizzato, anche se quei fatti sono già stati verificati e confermati da riscontri acquisiti (hanno chiamato questa follia "Giusto Processo" e l'hanno messa nella Costituzione!). Con questa norma - anche questa votata da tutti - la forza intimidatrice delle mafie è divenuta ancora più forte.
Ma i collaboratori (che scelgono di uscire dalle cosche, dalle famiglie mafiose) ed i testimoni (che denunciano e rendono testimonianza in quanto vittime delle mafie) rischiano la loro vita. Sono condannati a morte dalla mafia, che non da ne indulti ne appelli. Rischiano la vita e sono condannati a morte anche i loro familiari, i loro affetti, i loro bambini. Hanno bisogno di protezione che lo Stato deve garantirgli. Se non sono protetti vengono uccisi, eliminati perché hanno osato "alzare la testa" e non soggiacere alla "legge mafiosa".
Il sistema di protezione che esiste in Italia, con la nuova legge scritta dall'allora Ministro degli Interni, Giorgio Napolitano, e dal collega della Giustizia, Giovanni Maria Flick, non funziona, è delirante, è impraticabile! Non vengono date nuove generalità, non puoi più lavorare o avere una vita sociale perché "deportati" in una zona "protetta" dove non conosci nessuno e non puoi rivelare chi sei, ti danno quattro lire che devono bastarti a tutto e se hai bisogno non hai nessuno a cui chiedere aiuto. A volte chi dovrebbe essere in protezione con te, magari i tuoi figli minori, vengono lasciati dallo Stato nelle case e nelle mani della famiglia mafiosa da cui lo Stato ti ha allontanato mettendoti sotto "protezione". Oppure i tuoi figli vengono mandati a scuola, nella sede "protetta", nascosta (che non puoi rivelare a nessuno!), con il loro nome e cognome originario. In entrambi i casi: facili bersagli, che si possono colpire quando si vuole! E infatti, quando non direttamente i collaboratori o testimoni, sono i loro parenti, i loro familiari a cadere sotto i colpi mortali dei sodalizi mafiosi.
Ci sono due storie pubbliche, recenti, di questi giorni che ci raccontano questo dramma, questa contraddizione di Stato, questa assenza di protezione per chi sta con lo Stato e contro le mafie. Due storie che ci dimostrano che questa legge, queste norme, questa gestione ha un solo effetto concreto: disincentivare a collaborare e testimoniare! Il messaggio che viene lanciato è: "Ma chi ve lo fa fare? Ripensateci e rinunciate"
Una è quella di Pino Masciari, testimone di giustizia. Imprenditore calabrese, che ha denunciato le cosche della ‘ndrangheta e quel sistema politico-mafioso-massonico-istituzionale che piega quella sua terra, che piegava la sua libertà di cittadino e imprenditore. Ora è tornato in Calabria per protesta, mentre sua moglie ed i bambini sono invece ancora nella sede "protetta". Sono bersagli mobili. Pino ha chiesto una soluzione, ha chiesto una scorta adeguata per lui e la sua famiglia, ha chiesto di poter riprendere a "vivere" di poter tornare, con sua moglie, a lavorare. Lo Stato tace, è assente, propone solo una "proroga del sistema di protezione", ossia nessuna protezione ed una museruola, un guinzaglio, che impedisce ogni libertà di movimento come di parola. Sono e dovrebbero continuare ad essere dei "carcerati" sotto tiro, per aver denunciato i delitti di cui sono stati vittime! Assurdo, ma vero.
Un'altra è quella di Asia Ostertag, ex moglie di Vincenzo Mamone. Lei dopo 9 anni di denunce "scomparse" ha incontrato la DIA, ha iniziato a dire tutto quello che sapeva, indicare dove trovare riscontri e prove. Lei, moglie di Vinzenzo Mamone, è stata per vent'anni in una famiglia che lo Stato (DIA, PNA, Commissione Antimafia) indicano come famiglia della ‘Ndrangheta attiva a Genova e non solo. E' stata riconosciuta collaboratrice di giustizia, messa sotto protezione. Una vita da inferno che ci ha raccontato e che l'ha portata, per poter "sopravvivere" con più sicurezza, ad abbandonare quel "sistema di protezione" assurdo e colabrodo.
Vi sono tante altre storie, come un testimone di giustizia che ha denunciato la ‘ndrangheta, e che dalla Calabria è stata mandato a Genova, come "sede protetta" e dopo pochi giorni ha chiesto di tornare nella sua terra perché "ce ne sono di meno!".
Queste sono la realtà che viene taciuta e sempre ignorata. Sono quella realtà che Asia e Pino hanno denunciato. Sono quel sistema che non funziona e che Pino Masciari con il suo gesto estremo di tornare da solo in Calabria, ha voluto denunciare a tutte le coscienze di questo dannato Paese.
Accanto a loro spesso, quasi sempre, solo quegli agenti capaci e umani che fanno l'impossibile per sostenerli e quella "società responsabile", fatta di individui, gruppi ed associazioni, che li accompagnano, li sostengono come possono. Ma è dura... perché ti rendi conto che ciò non basta, e che occorre fare di più e che per farlo serve soprattutto rompere la cappa di silenzi che avvolge queste storie reali e far sì che le istituzioni, lo Stato, non abdichi al suo compito!
Per questo vi chiediamo di fare la vostra parte. Ad esempio mandando fax ed e-mail al Ministero degli Interni ed al Quirinale, perché si muovano, e si muovano nella direzione giusta. Sono vivi, sono cittadini che hanno avuto coraggio, che hanno vinto la paura per il bene di tutti noi. Non aspettiamo che siano dei nuovi "eroi morti" per muoverci. Per favore, muoviamoci adesso.
Testo da inviare al Ministro ed al Quirinale:
"Signor Presidente della Repubblica e signor Ministro,
Pino Masciari e la sua famiglia hanno diritto, il sacrosanto diritto, di avere una vera tutela ed una scorta, lo Stato non può voltarsi dall'altra parte! Chi aiuta lo Stato a sconfiggere le mafie non può essere abbandonato, non deve essere un "recluso", deve poter vivere, deve poter far assaporare il fresco profumo della libertà ai suoi figli!"
PS
Stanno per uscire dal carcere per scadenza dei termini di custodia cautelare gli esponenti della mafia albanese che controllava la tratta e lo sfruttamento della prostituzione nel Tigullio - Genova. Uomini spietati. La squadra investigativa che era riuscita a portarli alla sbarra e garantire l'incolumità dei testimoni, è stata - dall'ex capo della Squadra Mobile di Genova, da poco trasferito in altra sede - smembrata. Anche qui: ci muoviamo o aspettiamo la vendetta?