La nebbia è accompagnata da inquietudine, a volte da disastri.
Bene, visto che non siamo un servizio meteo, qualcuno potrà domandarsi perché parliamo di nebbia. Ma lo avevamo già fatto, purtroppo, altre e ripetute volte. Infatti avevamo, insieme agli amici di Democrazia e Legalità, chiesto addirittura l’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura e della Procura Nazionale Antimafia per la realtà della Calabria...
Lo abbiamo chiesto perché lì, non per opinioni ma per una interminabile sequenza di fatti (anche se taciuti dall’informazione di regime), si continuava a respirare quel clima tradizionale, quell’atmosfera, propria dei Porti delle Nebbie, dove al disastro in agguato per la impenetrabile foschia si fondono quelli delle correnti e delle intemperiose acque. Lì, ci pareva, esistere una sorta di DDA parallela, fatto inquietante e pericoloso. Oggi alla luce della “classica” nomina dell’ultima ora (bloccata dalla Procura Nazionale Antimafia) alla DDA di Reggio Calabria, la visuale sembra più nitida e ci dice che non avevamo visto male. Andiamo, con ordine, guardando fatti e nomi.
Non vi era solo il terremoto del Tribunale di Vibo Valentia, o ritardi, mancanza di mezzi e competenze in Uffici importanti e decisivi per il contrasto, preventivo e repressivo, della ‘ndrangheta, ma vi era qualcosa di più, che calava come un banco di nebbia, quando, in ottobre 2006, con Democrazia e Legalità ed altri, abbiamo pubblicato la Relazione della Commissione d’Accesso alla Asl 9 di Locri.
Il documento amministrativo, parte del procedimento che si è concluso con il commissariamento della Asl per infiltrazione mafiosa, nella primavera del 2006 (vedi qui), rivela di un’infiltrazione spaventosa, con condizionamento totale della gestione di quella struttura sanitaria, dove nella scelta del personale erano decisive le ‘ndrine, come negli appalti o negli incarichi – interni ed esterni - e nelle convenzioni, dove non vi era tetto di spesa che non fosse lo sperpero della cosa pubblica a favore della mafia e dei suoi tentacoli (illegali o presentati sotto veste “legale”). Una Asl che era quella dove lavorava come Primario Francesco Fortugno, dove Responsabile del personale era sua moglie, Maria Grazia Laganà…dove prima di loro dirigente e responsabile generale per lunghissimi anni è stato Mario Laganà, padre della vedova, vecchio democristiano potente, che, tra l’altro, richiamò in servizio presso il nosocomio locrese proprio il genero, Fortugno, in forza alla Asl di Melito Porto Salvo (il “regno” dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti).
Una Relazione importante, quindi, per capire il contesto dove è maturato l’omicidio del 16 ottobre 2005, che rendeva ancora più assordanti i silenzi della vedova su quella realtà, dove pur avendo, direttamente e indirettamente, responsabilità dirigenziali tace su ogni cosa, negando persino che la ‘ndrangheta avesse mai avuto interessi sulla Asl o promosso tentativi di infiltrazione in essa.
Un documento che, per la sua precisione e franchezza, mette in luce le modalità di infiltrazione mafiose, i canali con cui si sottraeva il denaro pubblico dalla sua funzione (la tutela e cura della salute dei cittadini), tanto da spingere il ViceMinistro degli Interni, Marco Minniti, a dichiarare che tale Relazione bisognava leggerla e studiarla nelle scuole, a cui si è associato, poche settimane fa, anche il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Francesco Forgione.
Ma un documento così importante, amministrativo e quindi soggetto per legge alla trasparenza, in Italia non ci deve stare! Ci sono nomi e cognomi, fatti, riscontri e responsabilità precise, quindi deve essere taciuto! Ma nel panorama italiano sono sorte alcune “variabili indipendenti”, che hanno deciso appunto di pubblicare quel documento, studiarlo, approfondirlo e legarlo ai fatti ed alla cronaca, ricostruendo, anche, asetticamente, l’omicidio eccellente del Primario del Pronto Soccorso, divenuto vice presidente del Consiglio Regionale come uomo più votato in tutta la Calabria , con quasi 9000 preferenze personali.
Queste “variabili indipendenti” non sapevano che stavano per entrare, pur avendo chiaro ciò che avevano letto e studiato, in un nuovo Porto delle Nebbie, a scudo, di fatto, di quel legame che quella Relazione evidenzia tra mafia-politica-affari-massoneria deviata.
Tra fine ottobre ed i primi di novembre, infatti, un giovane PM, proveniente dal Palazzo di Giustizia di Vibo Valentia (figlio d’arte della “guida sicura” della Procura di Locri, Rocco Lombardo, ai tempi della famosa “interrogazione” di Franco Fortugno -2002- e mentre nulla in detta Procura si era mai mosso sulle ‘ndrine “padrone” della Asl), certo Giuseppe Lombardo, decide di promuovere un’azione penale, con perquisizioni armate, sequestri, mobilitando la Polizia Postale della penisola. Contro le cosche o i responsabili del disastro in quella Asl? Assolutamente no! Il provvedimento è a carico di quelle “variabili indipendenti” e la Relazione , sui siti internet, è oscurata. Gli Italiani non devono sapere e conoscere la verità.
Piccolo particolare, o meglio insieme di gravi particolari, è il tutto, che viene taciuto, come se vi fosse (nella miglior tradizione dei Porti delle Nebbie italiani) una regia attenta e precisa, che decide, muove le pedine e impedisce che qualcosa esca allo scoperto.
Le notifiche del provvedimento non arrivano (a noi ancora adesso nessun avviso di garanzia o comunicazione di conclusione di indagine, andando di fatto a negare il diritto inalienabile alla difesa). La Relazione (link ancora attivo), però, in alcuni siti permane (anche perché all’estero è difficile sostenere che un atto amministrativo – cioè pubblico - sia “secretato”). Ma fin qui, siamo nell’ambito del consueto…irregolarità che sono inquietanti ma tipiche del Paese dell’impunità.
Il peggio è che il PM Giuseppe Lombardo parla nelle ordinanze di sequestro di messa in discussione delle indagini antimafia e messa a rischio dei relatori della stessa, dimenticando che i loro nomi erano pubblici già dalla nomina e ripetute volte riportati sugli organi d’informazione.
Ma, qui vi è un inquietudine che puzza, come fa Giuseppe Lombardo a dire questo quando la DDA (di cui lui NON fa parte) non ha secretato detta Relazione, in quanto contenente notizie che già (e per fortuna) avevano? Non era comprensibile. Quella frase ed alcuni altri passaggi (che sono tutti riportati nella sezione del sito apposita I Fought the Law), sembrava, lasciassero intendere che a Reggio Calabria vi fosse una DDA PARALLELA.
Oggi cosa scopriamo? Che Antonino Catanese, Procuratore Capo di Reggio Calabria (a un giorno dalla pensione), ha designato quale nuovo magistrato della DDA proprio il PM Giuseppe Lombardo. Cosa curiosa, considerando che ci sono minimo altri 7 magistrati che si erano candidati a quella nomina, di cui tre con anni ed anni di passata esperienza alla DDA, nella quale hanno conseguito risultati importanti ed inflitto duri colpi alla ‘ndrangheta ed ai suoi canali internazionali di traffici e di riciclaggio. L’unico senza esperienza in materia (che ci pareva di una DDA PARALLELA) e che non è, lo dicono i fatti, certamente “preciso” nell’esercizio delle sue funzioni, come dimostra la sua totale incapacità, nel nostro caso, di seguire le procedure fondamentali per la regolarità – e quindi la validità – dei procedimenti, è stato nominato. Chi, invece, ha esperienza e prodotto risultati di prevenzione e repressione decisa è stato escluso, con motivazioni “campate in aria”.
Fortunatamente vi sono già due ricorsi al CSM di due di questi giudici (Gratteri e Mollace) e fortunatamente il Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, ancora una volta, ci ha messo una pezza… bloccando tale nomina, con parole pesanti, inequivocabili, e pubbliche che classificano la decisione del Procuratore Capo di Reggio come speciose ed in ogni caso disancorate da ogni legittimazione.
Il CSM adesso decide di muoversi in quella “terra prediletta”?
E’ divenuto improcrastinabile salvaguardare la credibilità dell’Istituzione, quale la Magistratura , da gestioni che sono viziate da guide non aderenti alla legittimità e limpidezza, dubbie, quantomeno.
Il CSM ha il dovere (e il diritto) di tutelare l’indipendenza e autonomia dei magistrati, quindi deve tutelare quei giudici che hanno svolto, e/o possono svolgere, indagini delicate, con competenza e senza doversi mai “frenare” dinnanzi a questioni (e nomi) scomode. Infatti se il CSM non dovesse provvedere a risolvere la “questione Calabria”, il rischio, ancora una volta, (e con l’ordinamento Castelli-Berlusconi-Previti non ancora abrogato) sarebbe di permettere l’isolamento di chi, nella magistratura, e soprattutto nella DDA, interpreta in modo autentico il principio di uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla Legge, senza timore reverenziale e attuando in modo uniforme l’azione penale. Non sarebbe accettabile un solo tentennamento, perché non si deve permettere di deprimere e demotivare quei magistrati - chi nel giudicante e chi nell’inquirente - che non soggiacciono mai al timore di disturbo al Potere, che, infatti, renderebbe vana ogni azione contro la mafia, che nel legame e nell’infiltrazione diretta (ormai) nel potere politico, economico ed istituzionale, ha fatto il suo nuovo asse dell’organizzazione.