Apprendiamo da indiscrezioni giornalistiche alcuni nuovi elementi sui casi Fortugno, Asl di Locri e Laganà.
1) Tace davanti ai magistrati e si confessa a “Gente”
Dalle anticipazioni di un intervista che la signora Laganà avrebbe rilasciato a Gente (nel nuovo numero) afferma: “Stanno cercando di distruggere la memoria del mio Francesco. Mi si accusa di aver fatto quelle cose che mio marito si era sempre rifiutato di fare: truffare la Asl nell'acquisto di alcuni presìdi, tra l'altro mai comprati dall'azienda ospedaliera. Io sono un medico chirurgo, ero vicedirettore sanitario dell'ospedale di Locri e il mio ruolo era la gestione e il controllo delle cartelle cliniche. Non avevo nulla a che vedere con le forniture o le assunzioni. Ho presentato una memoria difensiva ai magistrati di Reggio Calabria in cui spiego tutte le mie ragioni”. Sull’omicidio del marito: “Ha una netta matrice politico-mafiosa. E l'enormità di questo delitto sta anche nel fatto che non avevamo ricevuto alcuna minaccia. Io, poi, ho accettato di candidarmi in Parlamento perché voglio continuare quello che stava facendo Francesco.”
Già qui vi sono affermazioni mentognere, gravissime da parte di un parlamentare componente della Commissione Parlamentare Antimafia ed ennesime contraddizioni nel merito. Vediamole.
Intanto afferma nuovamente l’accusa che lei sia vittima di delegittimazione. No, cara signora, lei è indagata. Questa è una cosa diversa. Se è innocente lo può provare se è colpevole ne risponde. Il procedimento giudiziario ha delle regole, lo screditare i magistrati non fa parte del diritto alla difesa e tacere è ostacolo alla giustizia, soprattutto per un rappresentante Istituzionale, anche parte lesa di un processo per l’omicidio del consorte, che meriterebbe un contributo alla chiarezza anche da parte sua. Come indagata, in un procedimento penale, può concorrere al raggiungimento della verità processuale, cosa ben diversa dal tentativo di sottrarvisi.
Anche l’Associazione Nazionale Magistrati, sia di Reggio Calabria che Nazionale, le ha già ricordato, con molto garbo, che non sono tollerati attacchi alla magistratura, il diritto alla difesa è cosa diversa!
Inoltre lei afferma altre falsità. Lei è stata si assunta come medico chirurgo (tra l’altro, a quanto ci risulta, con una rapidità sconcertante di assunzione, per i tempi della Calabria – e non solo –, tra laurea, specializzazione ed assunzione), ma Lei nella Asl di Locri era Vice Direttore Sanitario e Responsabile del Personale (si contraddice di nuovo? nega quello che ha dichiarato 15 giorni dopo l'omicidio di Franco, alla RAI, quando parlava di "episodi sgradevoli" e negava interessi della mafia sulla ASL?) e non quella che dichiarerebbe oggi a Gente: ruolo di gestione e controllo delle cartelle cliniche.
2) La DDA di Reggio rigetta il ricorso e gli avvocati negano
Dalle notizie Ansa la Direzione Distrettuale Antimafia ha rigettato il ricorso presentato dai legali della Sig.ra Laganà (il cugino Sergio Laganà e l’avvocato Antonio Mazzone, già legale dei Cordì, che abbiamo già conosciuto).
Il ricorso presentato in occasione dell’interrogatorio (dopo due rifiuti a comparire!) a cui la Signora si era avvalsa della facoltà di non rispondere, chiedeva il trasferimento alla Procura Ordinaria di Locri, quella di fronte casa.
Le motivazioni, come avevamo cercato di spiegare anche noi, quando una DDA apre un procedimento, non sono bazzecole. La signora sosteneva, con i suoi legali, che era indagata per una sola fornitura e che lei non c’entrava. Ma noi avevamo spiegato che le forniture, come le convenzioni, gli appalti e le assunzioni ed anche gli incarichi, relative alla ASL di Locri, sono oggetto di indagine della DDA per le infiltrazioni mafiose in quella ASL (di cui era uno dei massimi responsabili, proprio la signora!) accertate e mai smentite, già evidenti leggendo la seconda parte (la prima è coperta da segreto istruttorio della DDA) della Relazione Basilone (ricorda?!?) che ha portato al Commissariamento della ASL sua, del povero Franco, di suo padre e suo cognato (ma anche di questo avevamo già parlato).
Infatti la DDA , smentendo le dichiarazioni della signora e dei suoi legali, nelle motivazioni di rigetto avrebbe sottolineato che la sua posizione è parte integrante di altri procedimenti in corso che per il profilo di competenza attengono alla Procura distrettuale antimafia.
Qui vi è un particolare, sempre degno di chi, come la signora, vuole verità e giustizia. Dell’Avviso di Garanzia la signora a fornito sue dichiarazioni, senza farlo leggere. Oggi i suoi legali (Laganà e Mazzone) avrebbero dichiarato di non aver ricevuto nessuna comunicazione in merito al rigetto della loro istanza da parte della DDA, peccato che alla DDA risulti che loro lo abbiano ritirato.
Concludendo
Leggeremo con attenzione “Gente” e poi ci ritorniamo. Intanto la signora Laganà che ha accettato il sacrificio di essere eletta in parlamento (e nominata in Commissione Antimafia) per continuare nella battaglia di suo marito contro la ‘ndrangheta (che però non risulta agli atti di alcun ufficio, se ci fornisce documentazione la pubblichiamo con piacere!), non ha ancora rassegnato le dimissioni dalla Commissione Antimafia, nemmeno dopo il sollecito pubblico nostro e di DemocraziaLegalità e nemmeno dopo l’invito di altri calabresi che quali l’On. Angela Napoli ed Elio Veltri, che con costanza e trasparenza combattono da decenni a viso aperto la 'ndrangheta (loro si!). Forse non ha recepito nemmeno la Presidenza della Commissione: il conflitto di interessi della Signora membro dell’Antimafia (con poteri equivalenti a quelli dell’autorità giudiziaria) e indagata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, è eclatante, senza precedenti e destabilizzante per le Istituzioni dello Stato.
E’ ormai lapalissiano che la signora Laganà stia utilizzando la sua carica e la sua veste di vittima per sottrarsi dal fornire elementi utili alla ricerca di verità e giustizia sull’Omicidio di suo marito, sui rapporti con le cosche della ‘ndrangheta (le intercettazioni e le frequentazioni! Su cui tace sempre) e sulle infiltrazioni nella Asl di Locri. Adesso basta. Parli nelle sedi idonee e fornisca elementi di prova sulle accuse che muove o la pianti. Non lanci messaggi cifrati. Parli di quello che succedeva nella ASL, delle conversazioni e frequentazioni con uomini della ‘ndrangheta. Smetta di latitare le conoscenza dirette dei fatti che lei ha! Rispetti lo Stato!