una risposta a Emanuele Macaluso
Alla fine ritornano i "garantisti", storici difensori
di collusi e mafiosi... Oggi in difesa de “u’ dutturi”
Riteniamo vergognoso l’intervento di Emanuele Macaluso, ieri su “il Riformista”. Purtroppo il passare degli anni non gli ha fatto cambiare certe abitudini e attitudini. Purtroppo Macaluso è anche persona molto vicina a Giorgio Napolitano. Purtroppo la memoria in questo Paese ha, colpevolmente, un breve respiro...
La sua storia
Emanuele Macaluso, storico dirigente “migliorista” del PCI è da sempre impegnato nella difesa di uomini d’onore che si erano infiltrati nel PCI-PDS-DS. Purtroppo fu proprio lui uno di quei dirigenti che diede massima protezione nel partito a quegli uomini del suo PCI siciliano e del movimento cooperativo collusi con Cosa Nostra e legati anche agli assassini di Pio La Torre. Non lo ricorda? Non ricorda: la stagione di Ciancimino e le grandi alleanze nella gestione degli appalti gestiti da Cosa Nostra o i “cavalieri del lavoro catanesi? Ahh ma è vero lui è un garantista!
Nel processo per l’omicidio di Pio La Torre la Procura afferma: “Mentre l’onorevole La Torre in maniera estremamente efficace e concreta spendeva il suo impegno politico, espressa da parlamentare nazionale e componente della Commissione parlamentare antimafia, poi a partire dal settembre 1981 quale segretario regionale del PCI, altri numerosi e importanti esponenti politici colludevano con Cosa Nostra oppure la loro inerzia, anche all’interno dello stesso Partito Comunista, finivano per accettare più o meno consapevolmente il progressivo infiltrarsi del sistema mafioso nei meccanismi della politica e della pubblica amministrazione”.
Chissà se questo passaggio fa ricordare qualcosa a Macaluso. Gli tornano in mente i Russo, i Sanfilippo, i Fontana, i Castello? Gli torna in mente che Pio La Torre aveva posto la questione morale e del rigore nel contrasto alla mafia ed alle infiltrazioni di questa nel movimento cooperativo? Ricorda che Pio La Torre combatteva contro questi dirigenti vicini proprio a Lei, signor Macaluso, ed all’area riformista che faceva razionalmente a capo a Giorgio Napolitano? Vediamo se questo altro passaggio le rimembra qualcosa: Pio La Torre in un convegno del PCI siciliano aveva attaccato pesantemente sulla questione Fontana & C, sulle cooperative di Bagheria, di Villabate e Ficarazzi; Giovanni Falcone cercò gli atti di quel convegno che però erano inspiegabilmente spariti nel nulla, nell’archivio del PCI siciliano non ve ne era più traccia.
Ma davvero Macaluso non ricorda? Che strano era proprio uno dei maggiori dirigenti del PCI nazionale e siciliano. Negli anni Ottanta erano divenuti evidenti gli intrecci e le connessioni indecenti. La pratica consociativa, i rapporti di affari che strutture economiche legate al PCI, cooperative e non, come anche alcune televisioni locali, avevano con il blocco politico-mafioso dominante, avevano in Pio La Torre un nemico invalicabile. Pio La Torre aveva promosso anche un inchiesta interna al PCI, nei confronti di Fontana, Mercante, Carapezza, Spadafora. Proprio quegli uomini che dopo l’omicidio di Pio La Torre , ebbero le promozioni e che vedevano in lei, signor Macaluso - e nella sua area “migliorista” - una della maggiori coperture politiche.
Un avvallo costante alla politica consociativa in Sicilia che vide dopo l’omicidio di La Torre , un ulteriore rafforzamento con il cosiddetto “patto dei produttori”, deciso dalla direzione regionale del Partito di Macaluso, che vedeva anche quei personaggi legati ai “cavalieri del lavoro catanesi”. Non ricorda? Provi a chiedere ad Anna Finocchiaro, anche lei conosce bene quegli ambienti. Ma se anche la senatrice diessina - anche Lei nota “garantista” - non ricordasse, potrebbe provare a rileggere alcune dichiarazioni di Napoleone Colajanni, dirigente del PCI, la cui tanta sfacciataggine potrebbe essere scambiata per confessione. Nel 2000 affermava: “I soldi degli appalti li ho presi anch’io quando ero segretario della federazione di Palermo. C’erano tre regole: primo, non mettersi una lira in tasca, secondo non dare nulla in cambio, terzo non farsi pescare. Gli imprenditori palermitani ci davano gli avanzi per cautelarsi a sinistra: se poi trattavano con la mafia erano affari loro… Ci davano i soldi per una sorta di assicurazione a sinistra.”
Davvero non ricorda, signor Macaluso? Davvero non gli vengono in mente queste frequentazioni, queste collusioni, queste pratiche imbarazzanti e illegali che rendevano il PCI siciliano ricattabile, aperto alle infiltrazioni mafiose di Cosa Nostra? Che strana questa smemoratezza. Non ricorda nemmeno gli anni Novanta? Quando, crollato il muro, insieme alle società del “biscione” nell’est europeo esplodono i traffici di Cosa Nostra. Quando uomini d’onore fanno la spola tra Sicilia e Romania, dove gli imprenditori di Provenzano e Piddu Madonia fanno grandi affari. Strano davvero, ci sono sempre invischiati i Fontana e i Castello, ad esempio. Nemmeno De Bartolomeis le dice qualcosa? Suvvia, l’impresa per lo smaltimento dei rifiuti e la costruzione dei depuratori, amministrata dall’ing. Romano Tronchi, a cui Ciancimino affidava moltissimi appalti, quando ancora Cosa Nostra (anni Settanta e Ottanta) non pretendeva di controllare tutte le gare d’appalto, gli bastava che le imprese che si sarebbero aggiudicate gli appalti stingessero preventivi accordi con la famiglia mafiosa del posto, e Ciancincimino – come fu processualmente dimostrato – era il collettore. E Ciancimino con il Tronchi avevano un grande legame. Ma già… Lei, signor Macaluso è un “garantista” e poi non ricorda.
E certamente non ricorderà nemmeno Giuseppe Montalbano. Era un suo amico intimo, come lo era di Michelangelo Russo e di Capodicasa, nei suoi beni si trovava molto bene per l’ospitalità mostratagli anche il latitante Totò Riina. Davvero curiosa questa sua memoria, signor Macaluso.
D’altronde lei, ed altri dirigenti del suo partito o del sindacato, vi siete sempre dimostrati molto “garantisti” verso certi personaggi ed ambienti mafiosi. Infatti Gioacchino Basile è stato l’unico a denunciare quell’infiltrazione di Cosa Nostra nei Cantieri Navali di Palermo, nel silenzio generale. D’altronde la linea di Provenzano era proprio quella di coinvolgere i “rossi” per coprirsi a sinistra, da politici e sindacalisti. D’altronde è su questi intrecci trasversali tra mafia-economia-politica che anche Falcone e Borsellino indagavano e su cui sono stati fermati. Ma anche questo non lo ricorda vero?
Era proprio Lei – non ci sbagliamo – tra i principali convitati a quel di Porta Porta, con Giuliano Ferrara, a santificare Giulio Andreotti ed attaccare i magistrati che avevano osato indagarlo e riconoscerlo come colpevole di associazione mafiosa con Cosa Nostra sino alla primavera del 1980. Davvero straordinario il suo “garantismo”, signor Macaluso. Straordinario perché per chi è responsabile di associazione mafiosa, di concorso esterno, di collusioni e complicità con la mafia, Lei è “garantista” a prescindere dalle prove e dalle sentenze definitive (della Cassazione), e si ritrova a sostenere che essendo “garantista” i colpevoli divengono innocenti, vittime di persecuzioni giudiziarie e della “crudeltà di Stato”, mentre i giudici sono – con tutto il suo rispetto, per carità – dei “giustizialisti” che, applicando la legge, sono i peggiori criminali!
Su Contrada
Ed eccolo ora, il signor Macaluso - da cui speriamo Giorgio Napolitano abbia preso politicamente le distanze – che riprende la sua penna per dedicarsi alla difesa di Bruno Contrada. Una difesa davvero agguerrita, in cui afferma che su Contrada ci sono solo “accuse di Pentiti” - che si sa: sono ‘infami’!-, su cui prima della condanna definitiva della Cassazione, vi era stata una assoluzione in Appello – e quindi vale quella d’Appello! – e che ha visto solo “prove indiziarie” – che strano che Cosa Nostra non abbia lasciato un atto notarile in cui chiariva inequivocabilmente che il Contrada era agli ordini dei boss mafiosi!-.
D’altronde Macaluso è “garantista” e poi in fondo per lui Contrada merita una medaglia al valore perché, come gli ha spiegato Bruno Contrada, a Palermo “in quegli anni i funzionari della polizia si sporcavano le mani in nome delle mani pulite”.
Contrada per lui è come Andreotti e gli altri che i “giustizialisti” hanno perseguitato per 15 anni, tenendolo sulla “graticola” con accuse pesantissime e soprattutto che “non hanno dato un quadro certo delle sue responsabilità”. Quindi il signor Macaluso –cancellando tutti i riscontri probatori, tutte le dichiarazioni convergenti di collaboratori di giustizia più che attendibili, a partire da Tommaso Buscetta - arriva ad affermare che Contrada non poteva essere condannato, se fossimo stati un paese civile, perché c’era il “dubbio”.
Quindi, il signor Macaluso, che è “garantista” e rispetta i magistrati, afferma che il problema – e la responsabilità - della condanna di Contrada sarebbe tutta in una certa “cultura della legalità e della giustizia” che condiziona i magistrati – “un certo clima politico-culturale giustizialista animato anche da alcune forze politiche”-. E quindi afferma: “Come giudicare le reazioni alle iniziative con le quali si chiede che Contrada - 77 anni e molto malato - possa lasciare il carcere? Io le giudico sconcertanti. La sorella di un giudice assassinato dalla mafia, la vedova di un magistrato esimio, un’associazione che si richiama agli attentati mafiosi ai Georgofili protestano e obiettano che un atto di clemenza nei confronti di Contrada costituirebbe un favore alla mafia e un’anticipazione di atti di clemenza nei confronti di Riina e soci. Io non credo che l’essere sorella di un giudice assassinato dia titoli per capire, sapere e giudicare tutto ciò che si muove nel mondo della mafia.” E quindi conclude: ”Ma come si fa a spiegare queste cose a chi pensa che la mafia si possa combattere non con la fermezza dei principi e dell’azione pubblica, ma con la crudeltà statale?”
Davvero straordinario il signor Macaluso. Un esempio di vomitevole rovesciamento della realtà, dei fatti, delle responsabilità. Intanto dovrebbe sapere che le carceri italiane sono piene di malati gravissimi (con patologie quali Aids, epatiti, diabete, cardiache,…). Nessuno di questi si era mai sognato di chiedere la Grazia, semmai il deferimento della pena. Inoltre se tutti i detenuti che facendo uno sciopero della fame, causandosi naturalmente un danno, dovessero essere scarcerati – e graziati - chi sarebbe il fesso che non fa qualche sforzo nell’adozione del digiuno per guadagnarsi la libera uscita? Un minimo di serietà, signor Macaluso!
Inoltre proprio il sig. Macaluso che difende così accoratamente Contrada non accoglie l’invito del suo difeso a non parlare a vanvera ma a leggere con attenzione le carte processuali (tutte, naturalmente e non solo quelle dell’Appello, compresa quindi della condanna definitiva della Cassazione).
Se si fosse documentato un poco, lui che è “garantista”, avrebbe saputo che la condanna inflitta a Contrada è “per aver commesso il fatto” e non è stato condanno a 10 anni per essere innocente. Dieci collaboratori di giustizia (non uno o due, dieci!) che coincidono, gli elementi probatori documentali, oltre che numerose testimonianze, sono alla base della verità processuale accertata, su un ventennio di attività di Bruno Contrada, hanno consentito “di evidenziare un quadro probatorio a carico dell’imputato fondato su fonti eterogenee, coerenti, assolutamente univoche e convergenti nell’acclararne la colpevolezza. Da tale complesso materiale probatorio, sottoposto a rigoroso vaglio critico, è emerso al di là di ogni ragionevole dubbio che l’imputato ha posto in essere una condotta consapevolmente ed univocabilmente indirizzata ad agevolare l’organizzazione criminale di Cosa Nostra”.
Se si fosse documentato avrebbe appreso che – “al di là di ogni ragionevole dubbio” – Contrada: “è stato ‘persona disponibile’ nei confronti di Cosa Nostra ed ha intrattenuto rapporti con diversi mafiosi, in particolare con Rosario Riccobono e Stefano Boutade […]; ha posto in essere specifiche condotte di favoritismo nei confronti di mafiosi consistenti in agevolazioni: nel rilascio di patenti a Stefano Boutade e Giuseppe Greco […]; nel rilascio di porti d’armi ai fratelli Caro; ha realizzato condotte di agevolazione della latitanza di mafiosi: in favore di Rosario Riccobono […], ed anche in favore di esponenti dell’area corleonese e dello stesso Salvatore Riina secondo quanto dichiarato da Giuseppe Marchese che ha riferito anche del privilegiato rapporto che l’imputato intratteneva con Michele e Salvatore Greco; ha fornito all’organizzazione mafiosa notizie afferenti ad indagini di P.G., di cui era venuto a conoscenza in relazione ai suoi incarichi istituzionali […]; ha avuto incontri diretti con mafiosi: come Rosario Riccoboni riferito da Rosario Spatola e come Calogero Musso, mafioso del Trapanese facente parte di una cosca alleata di Salvatore Riina, del quale ha parlato Pietro Scavuzzo.”
Sulle condotte del Mannino si è accertato che: “- specifiche condotte di favoritismo nei confronti di indagati mafiosi; si veda l’espisodio del rinnovo della licenza del porto di pistola ad Alessandro Valli Calvello nonché l’incontro concesso tempestivamente nei locali dell’Alto Commissariato ad Antonino Salvo; - condotte di agevolazione della latitanza di mafiosi e di soggetti in stretti rapporti criminali con l’organizzazione mafiosa: vicenda Gentile in relazione alla latitanza del mafioso Salvatore Inzerillo e gli episodi relativi all’agevolazione della fuga dall’Italia di Oliviero Tognoli e di John Gambino; - condotte di interferenza in indagini giudiziarie riguardanti fatti di mafia al fine di deviarne il corso o di comunicare all’organizzazione mafiosa notizie utili: l’episodio delle intimidazioni alla vedova Parisi e quello attinente alle indagini sui possibili collegamenti tra gli omicidi Giuliano e Ambrosoli; - comportamenti di intimidazione e di freno alle indagini antimafia posti in essere nei confronti di funzionari di Polizia: vedi interventi sui funzionari di P.S. Gentile, Montalbano e Marcello Immordino.”
Documentandosi il sig. Macaluso avrebbe saputo che in merito alla difesa di Contrada nel Processo è risultato che Contrada: “ricorrendo spesso ad articolate menzogne, che l’istruzione dibattimentale ha consentito di disvelare sulla base di inoppugnabili risultanze, spesso di natura documentale e che, lungi dal limitarsi alla negazione del vero per ragioni di difesa, sono apparse rivelatrici della sua malafede” mostrando “una peculiare abilità dissimulatoria nella gestione del proprio doppio ruolo: da un lato quello, spesso formalmente ineccepibile, di uomo inserito ai più alti livelli nelle strutture investigative dello Stato, dall’altro quello subdolo di uomo gradualmente assoggettato ai voleri dell’organizzazione criminale mafiosa […] Proprio la strumentalizzazione del ruolo ricoperto dall’imputato all’interno delle Istituzioni gli ha consentito di rendere all’organizzazione mafiosa i suoi ‘favori’ informandola tempestivamente di notizie, decisioni ed ordini provenienti dall’interno delle strutture investigative, che le funzioni ricoperte gli consentivano di apprendere con facilità in anticipo. Tale precipuo ruolo svolto dall’imputato ha reso particolarmente efficace l’apporto dato all’organizzazione criminale Cosa Nostra che, con le sue condotte, ha oggettivamente contribuito a rafforzare, ponendo in grave pericolo l’Ordine Pubblico ed arrecando un grave danno alla credibilità stessa dello Stato per la cui difesa altri fedeli servitori, divenuti scomodi ostacoli da eliminare, hanno perso la vita. Quella realizzata dall’imputato è una forma di collusione tanto più grave in quanto da un lato particolarmente utile a Cosa Nostra e dall’altro espressione più alta del tradimento delle proprie pubbliche funzioni”.
Dai documenti processuali, il signor Macaluso, avrebbe anche appreso che la Cassazione ha “massacrato” la sentenza di Appello (quella piace tanto a Contrada ed al defender Macaluso) in quanto per arrivare all’assoluzione – annullata con rinvio e poi condanna definitiva dalla Cassazione –.Ha scritto la Cassazione: “La sentenza impugnata, dopo aver pregiudizialmente smantellato (con metodi ed esiti illogici e giuridicamente erronei) l’impianto accusatorio, da un lato incorre in (ulteriore) manifesta illogicità”.
Ma il signor Macaluso è un “garantista” a prescindere e le prove non contano, non contano le sentenze, non contano le prove. D’altronde abbiamo visto che Macaluso ha la memoria corta e figuriamoci se ricorda i legami massonici di Contrada. Ma per lui non conta, per lui vale il “dubbio” che gli ha trasmesso in un incontro lo stesso Contrada – che si sa è persona estranea e disinteressata ai fatti in questione, sic! -.
Per lui non contano nemmeno le risultanze di indagini ancora in corso. Non conta il coinvolgimento di Contrada nella strage di Via D’Amelio. Non conta nulla che il pulsante che attivò l’autobomba che uccise Paolo e la sua scorta è stato attivato proprio da quel Castello sede dei Servizi di cui Contrada era responsabile. Non conta nulla quell’utenza clonata a Paolo Borsellino che dopo la strage contattò proprio Contrada. Nulla per Macaluso c’è il “dubbio” e davanti al “dubbio” non si cerca di capire, ci si ferma e si cancella tutto… lui è “garantista”.
Non conta nulla di quell’incontro al Viminale che ha intaccato profondamente anche la memoria di un altro uomo politico di primo piano, l’allora Ministro Mancino (ora vicepresidente del CSM). Ha il “dubbio” Mancino, figuriamoci Macaluso. Cosa conta quindi che fosse accertato che il nome di Bruno Contrada faceva impallidire Paolo Borsellino, che chiese a Gaspare Mutolo in 16 luglio 1992, durante l’interrogatorio, di verbalizzare quanto affermato sulle accuse verso Contrada ed il giudice Signorino. Non conta nulla che Mutolo, colpito dal nervosismo di Paolo Borsellino, accetti di verbalizzare e non faccia in tempo perché se l’incontro precedente fu interrotto perché Borsellino fu chiamato dal Ministero degli Interni dove trovò Contrada e Parisi, il successivo incontro non ci sarà perché il 19 luglio 1992 tutto si fermò con il tritolo, mentre spariva, sottratta da un agente con la divisa dei Carabinieri, quell’agenda rossa su cui Paolo Borsellino annotava tutto e da cui mai si separava.
Ecco che Macaluso proprio non può capire i parenti delle vittime, la certezza della pena, non può capire l’esigenza che le sentenze siano applicate e le pene inflitte siano espiate. No, lui è “garantista” per certi ambienti. E gli altri sono cattivi, colpevoli “giustizialisti”, e qui, il signor Macaluso, non ha dubbi. E poi Contrada – mentre chiede la Grazia chiede anche la revisione del processo perché lui è “innocente” e non accetta la sentenza -, Macaluso lo ha incontrato… ed ha capito tutto! Si vergogni, signor Macaluso!
Le notizie citate sia in questo articolo che in Qualcosa d'altro su Macaluso ed i "miglioristi" sono tratte da:
- L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino - di G.Lo Bianco e S. Rizza
- I Complici - di L.Abbate e P.Gomez
- Intoccabili - di M.Travaglio e S.Lodato
- Mani Pulite la vera storia - di M.Travaglio, P.Gomez e G.Barbacetto
- La Trattativa - di M.Torrealta
- Il manuale del perfetto impunito - di M.Travaglio