Un portuale e' rimasto ucciso questa mattina a Genova, schiacciato da un carico di cellulosa da due tonnellate. Una “fatalità” secondo il presidente dell’Autorità portuale Novi. I Sindacati tuonano. Il Sindaco si associa. I lavoratori si mobilitano. Il Prefetto Giuseppe Romano si accorge che a Genova c’è un Porto dove alla fine, tra incidenti e insicurezza, c’è scappato il morto e convoca una riunione...
Enrico Formenti, 40 anni, aveva moglie e due bambini, lavorava come spedizioniere e magazziniere alle dipendenze dell'impresa FO.RE.S.T. La sua colpa era quella di essere un lavoratore di un porto, quello di Genova, dove la Sicurezza è un optional perché l’importante è la produttività, ritmi incalzanti e quello che si deve fare in due lo si fa da soli perché l’altro non esiste, costerebbe troppo all’impresa.
Tutti, ora, che c’è una vittima si muovono, piangono e si adirano, anche i colleghi ed i sindacati, le Istituzioni. Ma che facce hanno? Nemmeno la decenza di rispettare la tragedia che l’ipocrisia e la strumentalizzazione, le parate, vanno in scena. E’ grave quello che diciamo, certamente. Ma è la realtà.
Alcuni mesi fa un regista, Pietro Orsetti, realizzo un documentario dal titolo “De ma, trasformazione o declino”. Fotografava la realtà del Porto di Genova. Intervistava portuali, lavoratori che ogni giorno rischiano la vita per quel diritto chiamato “lavoro”, nel porto dei record (quello che fa chiamare Genova, dalla aspirante sindachessa, del cosiddetto centrosinistra, Vincenzi, la “Città-Porto”). Peccato che il porto sia una trincea, ma già, che stupidi, chi è nei salotti, come nelle Istituzioni, questo non lo sa.
I record del Porto genovese sono altri e grigi, neri. Dati davvero impressionanti "In nove anni si sono verificati ben 25 incidenti mortali solo fra i portuali: questo numero cresce in modo impressionante (24 decessi in 5 anni) se si aggiungono le altre morti avvenute sempre "in porto" ma in altre categorie: operai, marittimi di bordo, camionisti." Ma questi non aiutano a rassicurare e conquistare consenso, è vero, meglio ignorarli, ed ancor più auspicabile è cancellarli dalla memoria.
Forse qualcuno avrebbe potuto saperlo, però, ad esempio, vedendo quel film documentario. Ma i sindacati, che oggi scioperano, hanno attaccato quell’atto di denuncia. Hanno attaccato i lavoratori che denunciavano in esso l’assenza di sicurezza e quanto altro il “nuovo mercato del lavoro” portuale riserva loro. Quei lavoratori sono stati minacciati, come è stato minacciato il regista. Non dalle imprese, bensì da altri lavoratori, da quelli legati al Sindacato, perché “i panni sporchi si lavano in famiglia” e che titolo hanno i portuali di dire quello che non va, quello è un diritto riservato ai dirigenti sindacali, che poi fanno cariare e passano dall’altra parte.
Una storia simile, se ci ricordiamo, ad un’altra. Sempre trasporti, ma ferroviari. Alcuni lavoratori avevano denunciato a Report, le condizioni di insicurezza per loro e per i passeggiare dei treni e sono stato licenziati in tronco. I Sindacati hanno taciuto. Eravamo ai primi passi della “grande” riforma delle ferrovie voluta da Claudio Burlando (l’attuale presidente della Regione Liguria e già ministro dei Trasporti del primo Governo Prodi).
Ecco l’amarezza per una morte, come le altre morti sul lavoro, che con ipocrisia qualcuno chiama “martiri” ma non ha fatto nulla e nulla continua a fare per cambiare le condizioni di lavoro. Certo, anche qui, siamo forse un po’ troppo retrò. Questi lavori ormai sono una manna, un miraggio, un dono concesso, non sono mica “lavori usuranti” come quello del “Segretario Regionale dei DS” (come l’ha definito Mario Tullo, dalle pagine di Repubblica, alcuni mesi, in riferimento alla sua carica).
Ecco la rabbia per l’ipocrisia di un mondo in mano ai soliti noti e che non cambia, perché sulla strada per il potere ed il denaro, qualche invalido o morto sul lavoro ci può anche stare, è un prezzo che (gli altri, il popolo) deve pagare. D’altronde cosa conta che la CULMV , sia l’impresa (oggi è questo, IMPRESA, non è più una compagnia!) con il più alto numero in Italia di incidenti, secondo i dati di uno studio della Bocconi? Nulla, nella città dove un oligarchia sporca, ma coperta di bandiere rosse, nella nomenklatura di sindacati e partiti, nelle cooperative come nelle istituzioni, ha ingannato e inganna i più deboli facendogli credere di fare il loro interesse.
Ma tanto domani costoro guarderanno negli occhi i figli e le compagna di questo nuovo caduto nel porto di Genova, come altrove altri faranno con gli altri tre caduti in questa giornata di lavoro, prometteranno aiuto e sostegno, faranno arrivare, magari, una qualche indennità e si mostreranno commossi e toccati. Almeno risparmiate – è un appello – questo nuovo vergognoso inganno.
Intanto continua lo sciopero. Questa volta, l’hanno indetto i sindacati del porto di Genova, ed allora è giusto! A quando il prossimo “martire” ?
Noi, per quello che può contare, abbracciamo la sua compagna ed i suoi figli, con loro abbracciamo e sosteniamo quei lavoratori che non hanno mai taciuto e non hanno mai piegato la testa dinnanzi a chi gli diceva che "andava tutto bene". Speriamo solo che possano, che abbiano la forza, di scalzare quei "quadri" che pur sapendo hanno scelto la conveniente strada del compromesso, che alla fine è stata quella di non tutelarli. Una morte dopo altri gravi incidenti nei giorni scorsi non può permettere altri oltraggi. Uno Stato di Diritto è altra cosa da questa.
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