Tutti a parlare della fusione di Capitalia con Unicredit. Tutti ad applaudire alla nascita del “colosso bancario italiano”. Anche le associazioni dei consumatori sono entusiaste. Praticamente siamo come ai tempi dei Furbetti del Quartierino, dei loro protettori politici, da destra a sinistra, del grande dominus Antonio Fazio. Visto che questo grande colosso bancario vede, nuovamente, personaggi con ombre nere e che poco hanno a che fare con l’etica e la legalità, ci pare giusto fare un po’ di informazione sui fatti. Ci sono anche alcuni libri, recenti e dettagliati, che ci dicono chi è Cesare Geronzi & C. Vediamo quindi quello che si sa sul personaggio, cioè quello che tutti i media stanno tacendo, nel silenzio assoluto del Governo dell’Unione.
Il primo da cui prendiamo spunto è di Gianni Barbacetto, “Compagni che sbagliano”, 2007...
(Indulto, Insulto) ”Altro che svuotare le carceri: tra i reati inseriti nel paniere magico del supersconto ce ne sono alcuni che hanno zero detenuti; però sono reati sensibili, con un piccolo numero di candidati a entrarci, in carcere; personaggi eccellenti, oggi sotto indagine, a cui deve essere a ogni costo risparmiata l’onta della cella. Solo due nomi tra tanti: Cesare Geronzi, il banchiere di Capitalia, plurimputato e difeso dal senatore Ds Guido Calvi; e Stefano Ricucci, il più furbo dei furbetti (che ha avuto anch’egli, per un periodo, Calvi come difensore). Ecco come è nato il patto scellerato destra-sinistra: pensando non alle migliaia di poveri cristi senza nome e senza storia e senza appartenenza, ma a una settantina di persone, condannati di riguardo oggi i imputati eccellenti che potrebbero essere che potrebbero essere condannati domani.” (pag. 74)
(Benvenuti al Parco Ligresti) “Le ambizioni di Maranghi non si realizzano, Mediobanca dopo la morte di Cuccia perde la sua centralità finanziaria, ma intanto Ligresti (notoriamente uomo vicino agli ambienti e uomini di corruzione e mafia, ndr) porta a casa anche Fondiaria, guadagnando molto in prestigio e riuscendo a compiere la sua ennesima resurrezione d’immagine. Quanto ai soldi, è un altro discorso: ne ha spesi tanti ed è finito, come al solito, nelle mani del suo principale finanziatore, Mediobanca, che gli ha imposto – proprio a lui, abituato a fare tutto in famiglia – il manager che dovrà stare attento ai conti: Enrico Bondi, ex risanatore di Montedison, di Telecom e (in seguito) di Parmalat.
Dopo la cura Bondi e il tramonto dell’era Mediobanca, Ligresti si è messo all’ombra di un altro banchiere: Cesare Geronzi. Don Salvatore è fedele e silenzioso come sempre. Il nuovo sponsor lo ha portato al traguardo che ritiene definitivo: l’ingresso in Rcs, che vale il dissolversi di ogni ombra del passato. Ormai, chi si permette più di raccontare i vecchi tempi? Salvatore Ligresti è un grande finznaiere, è coinvolto nei più ricchi affari urbanistici di Milano (Fiera e Garibaldi-Repubblica), di Firenze (Castello e Manifattura Tabacchi), di Torino… Gode anche di buona stampa.” (pag. 137)
(Partiti transgenici) “Eppure la Lega è, all’origine, ferocemente antinazista. Il governatore di Bankitalia, del resto, ha tutto ciò che serve per non piacere ai padani: è di Alvito, paese della Ciociaria; ciociara, e molto espansiva, è anche la sua esuberante moglie, Maria Cristina Rosati; inoltre Fazio è un banchiere, anzi è il banchiere dei banchieri e sta al centro dei Palazzi romani e dei “poteri forti”; in più è cattolico e pio, mica rude razza pagana e padana; e soprattutto è il nemico numero uno, secondo le cronache del quotidiano di Bossi la Padania , dei risparmiatori Parmalat e Cirio danneggiati dai due crac. “Dottore in teologia mortale” lo definì il quotidiano leghista. “Vergogna, si deve dimettere!”, intimò il capo dei deputati verdi Alessandro Cé. Anche Roberto Calderoli chiese a gran voce le sue dimissioni dicendo: “Oggi ho sentito le campane a morto. Fazio non aspetti la celebrazione delle esequie per dimettersi”. E il vicecapogruppo alla Camera Federico Bricolo: “Fazio fa lo scaricabarile in perfetto stile fazioso. Spieghi il ruolo dei poteri forti in Italia, il loro collegamento con la massoneria internazionale e la sua amicizia con il plurindagato Casare Geronzi”. (…) Nel 2005, la svolta. La grande inversione a U. Il giovane Gianluigi Paragone, appena arrivato alla direzione della Padania, scrive: “Il Corriere parla sempre più romano. Il Gazzettino è di Caltagirone. La Rai al Nord non è mai arrivata”, dunque meglio “tifare per Fiorani che per un olandese dal nome impronunciabile”. E il grande sponsor di Fiorani, il governatore Fazio, da nemico numero uno diventa d’improvviso il grande amico, l’impagabile sostenitore della paganità delle banche. Così i leghisti si trasformano, da nemici implacabili, nei pretoriani del governatore: gli unici che lo difenderanno a spada tratta, senza ombra di dubbio, anche dopo l’esplosione dello scandalo, nell’estate 2005. Come mai? Per capire la svolta, bisogna mettere le mani nel crac Credieruonord, la piccola banca della Lega”. (pag. 178)
(Angelucci il centauro) “Dalla politica si rimbalza inevitabilmente agli affari, nella nuova Italia. Ha già fatto più volte capolino in queste pagine Giampaolo Angelucci, il re romano delle cliniche: socio di Daniela Fini nella Panigea; generoso con Anna La Rosa , a cui ha regalato un orologio con brillanti; sfortunato con i magistrati, che nel giugno 2006 lo hanno posto agli arresti (domiciliari) con l’accusa di aver sganciato una mazzetta. Angelucci è un centauro. Un uomo dalla natura duplice. Un protagonista naturale di questa nuova Italia, dunque, che non ha deciso se essere di destra o di sinistra perché non ha ancora capito la differenza, ma che non può fare a meno della politica, di destra e di sinistra, perché è essenziale per fare affari. Il patriarca degli Angelucci è Antonio, sessantadue anni, ex portantino dell’ospedale San Camillo di Roma, che in trent’anni ha messo insieme un impero, la Tosinvest : cliniche a Roma, nel Lazio, in Abruzzo e in Puglia, 5 mila dipendenti, 5 mila posti letto, 2 mila medici. Il cuore dell’impero è ben conservato in Lussemburgo, tra holding e anstalt, ma a Roma può contare sul sostegno di Cesare Geronzi, il banchiere di Capitalia, di cui Angelucci possiede il 2 per cento.” (196-7)
(Sciacchetrà) “ La Banca d’Italia, un tempo, aveva i grandi poteri di determinare la politica monetaria del paese. Con l’introduzione dell’euro, quei poteri si sono trasferiti a Bruxelles. A Fazio però non basta restare a guardia della vecchia istituzione di via Nazionale, vuole diventare un protagonista della nuova Italia. Già da tempo aveva preso a fare il semaforo delle concentrazioni bancarie, a dare luce verde o luce rossa alle fusioni, a decidere chi poteva sposarsi e chi no. Aveva detto no, per esempio, alla conquista nel 1999 della Banca di Roma da parte del Sanpaolo Imi. No, sempre nel 1999, all’Opa di Unicredit su Comit. No, nel 2002, alla fusione fra Montepaschi e BNL. Si alla sistemazione di Bipop-Carire nella pancia di Capitalia. Si, nel 2000, all’incorporazione della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Antonveneta. Si al salvataggio tutto politico di Credieruronord, la banchetta della Lega, da parte della Popolare di Lodi… La Popolare di Lodi: ecco, questa si è una banca che piace al governatore. Gli piace Giampiero Fiorani, il ragioniere che la guida con grande fantasia, aggressività, spregiudicatezza. In verità, gli piaceva anche di più Cesare Geronzi, il regista della Banca di Roma, forgiato nel fuoco dei grandi intrecci tra banche e politica della prima Repubblica. Con Geronzi, Fazio ha fatto un bel tratto di strada, accendendo sempre la luce verde per le operazioni che lo hanno portato nel giro di qualche anno a costruire Capitalia, il quarto gruppo bancario italiano.” (pag. 210-1)
(Tanto rumore per nulla?) “Ma con i se non si va lontano: i furbetti sono stati sconfitti. Questo non può comunque mitigare il giudizio sulla qualità dei loro tentativi. Mucchetti legge i bilanci e dunque ha ben presente la voragine dei conti di Marco Tronchetti Provera, gli interessi in BNL di Diego Della Valle, l’oscurità di Salvatore Ligresti, le ambiguità di Cesare Geronzi, la botolo di Gemina e così via… Ma le colpe degli uni non rendono meno gravi le colpe degli altri. Il ladro d’auto colto sul fatto non può scusarsi proclamando che la maggior parte dei furti d’auto resta impunita. Invece chi si appella alla “tracciabilità” può magari essere ipocrita o interessato, però a ragione. La sconfitta delle scalate è stata dunque non, cinicamente, il trionfo di un sistema di potere più forte su una compagne di outsider che hanno tentato lo sfondamento e che avrebbero in fondo introdotto elementi di novità nel sistema. A costo di passare per Alice nel paese delle meraviglie, è necessario affermare che quella sconfitta è stata invece una sana vittoria della comunità degli affari sugli avventurieri, dell’informazione libera sull’opacità, delle regole sui trucchi, della civiltà giuridica sull’illegalità.” (pag. 247-8)
L’altro testo da cui prendiamo spunto è di Elio Veltri e Francesco Paola, “Il Governo dei Conflitti”, 2006.
(La prima Repubblica del calcio) “Il 2004 è l’anno della “calcistizzazione” definitiva del paese attuata da una rete di clan di potere che vivono fuori dalle regole, le piegano a loro uso e consumo, passano indenni attraverso le maglie dei controlli, condizionano la politica e le istituzioni capaci di intervenire, lasciano alle loro spalle migliaia di vittime di un sistema in cui i conflitti di interesse si istituzionalizzano e si consolidano come strumenti di governo. Imperversa il crac Parmalat su tutti i giornali del mondo. Cominciano a tessere le loro tele e si coalizzano “i furbetti del quartierino”; Mediaset, sempre più ricca e più potente, con un blitz si accorda con Sky e con le grandi squadre per la spartizione dei soldi dei diritti televisivi; la GEA si consolida nella struttura e nel potere, tutelata da Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, Moggi e Carraro i quali addestrano figli e familiari e si scambiano favori. Il Parlamento prova a dare risposte e annuncia impegni coraggiosi di riforma. Ma appena l’attenzione degli organi di informazioni si distrae o si affievolisce, partorisce i classici topolini che quando nascono sono già vecchi.” (pag. 59)
”La pregevole relazione della Commissione Adornato però si ferma qui. Descrive il settore con accenti di quasi normalità, non parla dei gruppi di potere che lo comandano e lo gestiscono lucrando milioni di euro, ignora i conflitti di interesse, evita di accennare alla rete di istituzioni e di persone i cui nomi sono sempre gli stessi: Geronzi padre (Casare), che sui debiti del calcio ha costruito un’impero; Geronzi Chiara, maggiore azionista della GEA e giornalista del TG5; Geronzi Benedetta, assunta da Carraro in FIGC; Carraro Franco, presidente di Ferdercalcio dal 2001, in pista e in sella dal 1978 passando per le presidenze del CONI, del Comitato Olimpico Europeo, di Impregilio, della Lega calcio, di Mediocredito centrale, della Finanziaria della Banca di Roma Sofia Spa, e dai Consigli di Amministrazione di un numero infinito di società sportive e non, oltre che dal Ministero del turismo e dello spettacolo e dal Campidoglio; Carraro Luigi, azionista di un gruppo di società del settore; Moggi Luciano, troppo noto per parlarne; Moggi Alessandro, capo della GEA. E poi Lippi Marcello e Lippi Davide; De Mita Giuseppe e, di passaggio, Mastella Pellegrino, figlio del più noto Clemente, amico ed estimatore di Moggi. Usciti di scena, almeno per ora, Cagnotti Sergio e Tanzi Calisto con relativi familiari.” (pag. 62-3)
(Finanza) “Sempre da non molto tempo era stata disposta, dal tribunale di Parma, la misura della interdizione temporanea dagli incarichi direttivi in imprese e società per il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi. Nelle duecento pagine della ordinanza, i magistrati di Parma motivano l’interdizione ricostruendo dieci anni di rapporti tra Capitalia e le imprese di Tanzi. Il Corriere della Sera del 23 febbraio 2006 riporta larghi stralci del provvedimento. L’accusa-base di concorso nella bancarotta di Parmalat e di altre sei società è giustificata dal “fondamentale contributo” che Geronzi, d’accordo con dirigenti bancari, avrebbe “assicurato a Tanzi” attraverso finanziamenti-boomerang per evitare il fallimento delle società turistiche con conseguente “effetto-domino” sulla Parmalat, perché questa potesse continuare a reperire risorse sul mercato attraverso i bond, consentendo così a Capitalia il recupero di ingenti crediti altrimenti non rimborsabili. Ritardando l’emersione della insolvenza Geronzi avrebbe “aggravato il dissesto di Parmalat per tremiliardi di euro nel solo 2003”. Già nell’aprile 2001, mentre i funzionari della banca si pronunciano contro l’erogazione di altri crediti a Parmalat, “Geronzi favorisce l’ingresso di Tanzi nel CdA della banca”, secondo l’accusa “per proteggerlo” dal “disastro ormai imminente”. Per motivare le “esigenze cautelari” i magistrati citano anche altre inchieste in corso contro Geronzi: dal crac Bagaglino (1.550 miliardi di lire) alla bancarotta Cirio. L’ordinanza del Tribunale di Parma era stata confermata, con pesanti motivazioni, dal tribunale del Riesame di Bologna. Per tornare al provvedimento del tribunale di Milano sul caso Fiorani-Antonvenenta, esso dava atto che “le condotte dei vertici” della Banca popolare di Lodi non avevano riguardato solo la “scalata” alla Antonveneta, ma esse si erano articolate “in una serie innumerevole e variegata di operazioni illecite (…) gestendo il loro complessivo operato in pieno arbitrio, nell’assoluta assenza e nella presumibile complicità degli organi di controllo interni, esterni e soprattutto istituzionali”. Per il buon esito di tale attività “erano occorsi (…) l’appoggio di importanti finanzieri italiani”, che il Tribunale individua in Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, rispettivamente Presidente e Amministratore delegato di Unipol, e nel raider bresciano Emilio Gnutti e “di vertici di Banche estere”, oltre alla creazione e comunque all’utilizzo di società “anch’esse ovviamente estere su cui far certamente convogliare i proventi di detti arricchimenti”, e al “ricorso a terzi fiduciari e prestanome”. Pur in presenza di norme deboli e molto efficaci (un salto di qualità si è avuto con il recepimento delle norme della direttiva CE sul market abuse) questi sono solo esempi, anche se eclatanti, di numerose indagini che riguardano i banchieri e le spregiudicate operazioni in danno dei risparmiatori e spesso della stessa banca da questi compite in conflitto di interesse. L’acme venne tuttavia raggiunto quando il “direttorio” della Banca d’Italia non adottò alcun provvedimento neppure si cautela nei confronti di Fazio, che in quel momento appariva filo conduttore di una seri di operazioni illecite, con pesanti responsabilità quantomeno di natura etica per chi è chiamato a presiedere il massimo organo di vigilanza bancaria del Paese. Alcuni dei membri del direttorio della Banca d’Italia erano stati nominati dallo stesso Fazio. La situazione era di totale paralisi, e grottesca insieme. Era inevitabile affrontare questi fatti nell’incontro che il cortese esponente del ABI ci aveva concesso. Alla domanda se l’ABI, quale organo associativo delle banche italiane, avesse proceduto ad adottare provvedimenti di sospensione cautelativa, dal proprio Consiglio di Amministrazione, di Fiorani o di Geronzi, dopo i provvedimenti dei magistrati, la risposta fu negativa. Erano state avviate probabilmente, delle istruttorie, ma non vi era stato alcun provvedimento. Il banchiere Geronzi, per esempio, continuava a far parte del Consiglio di Amministrazione dell’ABI? Si, continuava a farne parte.” (92-4)
”Resta un fatto che l’Associazione Bancaria Italiana, a fronte di circostanze assai più serie della semplice violazione di norme etiche o regolamentari, continui ad adottare decisioni con in contributo degli stessi soggetti cui sono attribuiti illeciti in frode del risparmio, e che nessuno di questi infine abbia sentito il dovere di dimettersi. E’ un fatto anche che quasi tutti i banchieri sottoposti a inchiesta – eccetto Fiorani e pochi altri – continuino a ricoprire i propri ruoli negli Istituti di appartenenza. L’operato del banchiere Geronzi, per esempio, supportato da autorevoli pareri legali, non ha trovato, sostanzialmente, dissensi nell’assemblea di Capitalia, neppure dopo la conferma da parte del Tribunale del Riesame del provvedimento di interdizione adottato nell’ambito della inchiesta sulla bancarotta Parmalat.” (pag. 96)
Ne ha parlato Beppe Grillo sul Blog e ne parla anche Marco Travaglio nel suo ultimo lavoro “La scomparsa dei fatti”, 2006, che, appunto, è dedicato alla cancellazione sistematica dei fatti dall’informazione italiana, perché i fatti, si sa, disturbano, meglio le opinioni e le manipolazioni. D’altronde, lo sappiamo, come sintetizza sul retro copertina: “Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto.”
LEGGI ANCHE L'ARTICOLO DI MARCO TRAVAGLIO DEL 22.05.2007 - in formato .pdf - clicca qui