La vicenda dello scandalo del Parco delle 5 Terre assume contorni ancor più inquietanti se contestualizzata all’interno della drammatica penuria di fondi per il sostegno alle attività agricole all’interno di quel territorio tanto incantevole, quanto di difficile coltivazione e conservazione.
Dal 2006, infatti, sono praticamente bloccati i finanziamenti per la ricostruzione dei muri a secco, la cui cura è pre-condizione per ogni possibile attività agricola, oltre che per una minima prospettiva di politica idrogeologica...
Avendo chiaro, per il mio passato imprenditoriale nel settore, oltre che per la mia attuale attività di coltivatore diretto e le mie origini vernazzane, il quadro delle proporzioni, meglio delle sproporzioni, con cui viene generalmente impiegato il denaro pubblico in questo campo, mi piace, con queste semplici e brevi righe, riflettere insieme a tutti voi, sul diverso impatto che avrebbe avuto un uso più corretto e democratico delle risorse, usando il paradigma minimo dell’ipotetico milione di euro frodati alla collettività.
Con 1 euro, un’ impresa minimamente esperta delle condizioni della nostra terra di Liguria, recupera 1 metro quadrato di incolto, preservandolo dagli incendi, fornendo pregio ambientale, offrendo lavoro e creando profitto.
Con 1 milione di euro si recuperano 100 ettari di oliveto, immediatamente pronti a produrre o in alternativa 100 ettari di terrazze su cui in prospettiva impiantare nuovi vigneti, offrendo un’ opportunità di 3000 giornate di lavoro.
Con 1 milione di euro si ripristina 10.000 mq di muri a secco, si apre qualche centinaio di chilometri di sentieri, si crea una rete di linee tagliafuoco in grado di contenere la propagazione degli incendi per tutte le 5 Terre. Insomma, si mette in moto un processo positivo che crea lavoro, offre servizi veri, permette il risparmio di risorse (ad es. per lo spegnimento degli incendi), radica sul territorio competenze e professionalità e permette alla terra di produrre i suoi meravigliosi frutti, necessari anche ad un turismo più consapevole e meno virtuale e distruttivo di quello attuale.
In fondo, in Trentino, con morfologie forse ancor più ostili delle nostre, sulle sponde rocciose dell’Avisio dove si beve e produce la Schiavetta e non lo Sciacchetrà, ci sono riusciti da molti anni.
Nicola Rollando, contadino