Continua la ricerca frenetica a farci tacere. Il mezzo sono le denunce e richieste danni usate come strumento di intimidazione, come spiega benissimo la giornalista responsabile di Report, Milena Gabanelli (vedi il video). Oltre alle capziose querele, per far perdere tempo, e soprattutto per cercare di far passare il messaggio "non osate parlare e scrivere di noi, altrimenti vi quereliamo", l'altro strumento cardine per cercare di fermare chi fa inchiesta e racconta i fatti è quello delle citazioni civili, degli art. 700 e della richiesta danni. A questi poi si aggiungono, per far perdere un altro bel po di tempo, le denunce al Garante della Privacy...
Non viene praticamente mai contestata la veridicità di quanto scritto o detto... ma il fatto che quanto scritto o detto (anche se corrispondente al vero) crea un danno. Spesso contestano la forma, ma praticamente mai il fatto che siano state fornite informazioni false (anche perché alla fine la veridicità dei fatti raccontati viene dimostrata). Ultimamente, poi, il richiamo alla privacy è diventato il lieto motivo per cercare di bloccare pubblicazioni e denunce, così come la "balla" che internet "diffama" di più perché nella rete i contenuti si diffondo in modo rapido ed esponenziale.
Davanti a tutto questo, spesso, ci sono giudici che non hanno conoscenze (e quindi competenze) per poter valutare e nascono sentenze assurde. Prendiamo un caso.
Vi è un operatore finanziario (accreditato alla Banca d'Italia), che svolge anche attività politica (anche candidato ad elezioni regionali per un partito di rilievo nazionale) e sindacale (come responsabile in un capoluogo di regione di un associazione di piccole e medie imprese).
Lo stesso aveva (e lo dichiara lui medesimo) come uno dei suoi migliori collaboratori un boss della 'Ndrangheta (poi, così tanto per aggiungere, tale rapporto con passaggi di soldi dalla sua società al conto del boss, risultano anche dal Decreto di sequestro dei beni riconducibili al boss, emesso da un Tribunale su richiesta del ROS).
Lo stesso era socio titolare di quella società che decide di cedere quando il suo collaboratore (il boss della 'ndrangheta) gli dice che ha qualche problemino con la Giustizia (chiaro: il proprietario visto che il collaboratore - il boss - ha dei problemi con la Giustizia, non manda via questi ma cede le quote della società che, casualmente, finisce "di fatto" al boss della 'ndrangheta).
Inoltre viene fuori che quel sindacato di cui è partner una delle nuove società dell'operatore finanziario (e politico), che è lo stesso di cui lui è responsabile provinciale, è quella struttura dove ricoprono ruoli di responsabilità regionale i principali esponenti di una loggia massonica legata e soggetti legati ad una nota famiglia della 'ndrangheta.
Il tutto viene scritto (con documenti comprovanti per ogni punto), ma il mediatore creditizio (e politico) si risente e procede nel richiedere la cancellazione dell'articolo con una citazione d'urgenza in Tribunale (ex art. 700).
La causa viene assegnata ad un giudice della sezione famiglia. Si fa l'udienza di comparsa delle parti. Il giudice aggiorna per una controreplica del mediatore creditizio (e politico) e poi si riserva di decidere.
Quando arriva la decisione - che è comunque da rispettare - si sobbalza sulla sedia:
- il mediatore creditizio (e politico) non ricopre secondo il giudice alcun ruolo di rilevanza pubblica e quindi questo fa venire meno il diritto dell'esercizio di cronaca sullo stesso;
- internet poi diffonde i contenuti inseriti con estrema rapidità e quindi può creare pregiudizio;
- quindi l'articolo deve essere cancellato, con anche il pagamento delle spese per il procedimento.
Il merito (cioè la veridicità dei fatti) non conta. Il fatto che il rilievo pubblico del soggetto ci sia (e lo indicava lo stesso operatore finanziario (e politico) viene di colpo negato. Il fatto che se non vi è il (venuto meno) rilievo pubblico del soggetto non vi possa essere diritto di cronaca dei fatti è quantomai curioso.
Mentre si affronta questo, intanto, si devono preparare le altre difese per querele (capziose ed in alcuni casi presentate anche fuori termine) ed altre citazioni... ed inoltre si deve procedere dal cancellare i "dati sensibili" dalle ordinanze di arresto o sentenze della Magistratura, oltre a rispondere alle richieste di cancellazione totale (o parziale) di atti pubblici ufficiali (come, ad esempio, oltre le sentenze, ordinanze ed atti vari, anche le Relazioni delle Commissioni prefettizie di Accesso negli Enti con infiltrazioni mafiose).
Noi non abbiamo mai negato ad alcuno il diritto alla replica ed alle precisazioni che si ritenevano opportune su ciò che abbiamo pubblicato. Internet è, in questo senso, uno strumento che indiscutibilmente permette di diffondere rapidamente le informazioni ma è anche uno strumento che permette - a differenza di altri - una rapida replica (basta inviarla, anche semplicemente via e-mail, ed in tempi rapidi - non come le cause) pubblicata in coda all'articolo considerato errato o impreciso. Internet da anche la possibilità di smentire se ci sono informazioni sbagliate (certo che si deve produrre qualcosa che smentisca, ad esempio, un documento ufficiale), così come anche dare aggiornamenti rispetto, magari, allo sviluppo di procedimenti penali o di altra natura, che nel tempo hanno visto mutare le conclusioni nei diversi gradi o sedi di giudizio o valutazione.
Ma questo pare proprio non interessi (se non a pochi)... probabilmente perché non ha quel sapore "intimidatorio" di cui parlavamo prima e perché per replicare o rettificare bisogna avere qualcosa su cui basare la replica o rettifica.
Ecco, le provano tutte per stancare e far perdere la voglia di andare avanti... Ma non ce la fanno... non ce la faranno! Noi andiamo avanti, come sempre abbiamo detto e dimostrato, con le inchieste e, quindi, con il segnalare e denunciare nelle sedi competenti quanto necessario e nel fare anche informazione sui fatti e protagonisti (a partire da quella "zona grigia" che proprio non sopporta l'attenzione). E nei prossimi giorni racconteremo nel dettaglio altre storie, così come abbiamo sempre fatto, con nomi e fatti, tra cui anche quella di uno di quei soggetti che non vuole si parli e scriva di lui.
Noi, per la nostra parte, continueremo ad assumerci tutte le responsabilità, in ogni sede, e prima di tutto quella di continuare il nostro lavoro, senza timore di dover pagare un prezzo, perché è da mettere in conto che, anche scrivendo la pura e semplice verità, documentarla e diffonderla, questa sia scomoda per molti e che questi, di conseguenza, provino a frenarci e fermarci con ogni mezzo possibile. La speranza è che così facciano sempre più persone, perché solo quando la cittadinanza attiva vedrà non pochi ma tanti individui protagonisti, allora le cose cambieranno e non ci sarà più chi usa la Legge all'incontrario, per coprire misfatti e indecenze, quando non addirittura gravi illegalità, perché sarà inutile... perché la rete non sarà più solo quella internet, quella della diffusione dei contenuti dei motori di ricerca, ma sarà una rete di persone che assolvono, a pieno, al ruolo di "cittadini".
PS
E' bello ad esempio leggere nelle querele o nelle citazioni, così come in molteplici atti di chiusura indagini o rinvio a giudizio, che si contesta l'attribuzione di fatti specifici, senza però indicare che quei fatti siano falsi. Forse non tutti sanno, che per citare in giudizio in sede civile, chiedere risarcimenti danni o presentare querela, contestando la "diffamazione" non è necessario che i fatti denunciati siano falsi... perché in Italia la "diffamazione" è soggettiva, ed un Tribunale può ritenere che il racconto di un fatto vero, riscontrabile e documentabile, sia comunque diffamatorio!
Ecco dunque che alla proposta della Gabanelli (video http://www.youtube.com/watch?v=4bbpdWml1qU&feature=related) ne aggiungiamo una che potrebbe, tra l'altro, ridurre di gran lunga le sfilze di procedimenti per diffamazione che intasano Procure e Tribunali: basta una semplice riforma dell'articolo del Codice Penale relativo alla diffamazione prevedendo che tale reato vi sia solo quando si attribuiscono fatti falsi! Non dovrebbe infatti essere reato attribuire fatti veri, ma in Italia, attenzione, lo può essere... tutto è nel margine della discrezionalità. In Italia anche se un tizio è condannato per abusi sessuali su un bambino, l'indicarlo come "pedofilo" può comportare di essere perseguiti e condannati per "diffamazione"... e questo è tanto per fare un esempio!