Basta, davvero. Lo Stato è complice e colpevole e lo è anche la comunità tutta, con la sua indifferenza o con l'ipocrita impegno di facciata...
In Calabria chi si vede ammazzare il figlio innocente sotto casa e sceglie di denunciare, di collaborare con l'Autorità giudiziaria perché venga garantita verità e giustizia, è condannato a passare le pene dell'inferno. Viene isolata e denigrata, anche nel suo posto di lavoro, la scuola, perché ha osato "rompere gli equilibri della locride" e rovinare la serenità dei bambini figli di "note" famiglie.
L'assassino (o mandante), invece, vede la sua posizione archiviata perché "incensurato" e nulla conta che questi avesse rapporti provati con una cosca della ‘ndrangheta, come anche li avevano i suoi parenti, a partire dal fratello "scomparso" da più di due anni; come anche, non conta, che il movente dell'omicidio abbia trovato riscontri certi.
Il Procuratore, dopo 12 mesi di indagine e senza mai chiedere l'intervento del RIS, lo ha detto: "è incensurato, quindi si archivia" e poi come ha sottolineato, sempre il Procuratore, questi ha aveva anche un alibi! Peccato un particolare sia sfuggito a chi ha "visionato" l'alibi a discolpa di chi ha - davanti a testimoni - aggredito la madre della vittima dicendogli "come ho ucciso tuo figlio, uccido anche te". Infatti quel video, di venti minuti, mostra l'indagato per l'omicidio sotto un orologio che indica le 20:20, per tutti i venti minuti! Le 20:20 sono, guarda caso, il momento dell'ingresso della vittima al Pronto Soccorso, pochi minuti dopo i colpi di fucile a canne mozze sparatigli.
Ma non basta negare verità e giustizia. Ed allora alla madre che, con coraggio, ha rotto l'equilibrio dell'omertà, che ha osato rivolgersi allo Stato e non alla cosca avversa per chiedere giustizia, bisogna farla pagare cara. Qui, non si può tollerare che qualcuno, osi creare allarme sociale facendo rilevare che le Istituzioni non sono presenti quando le vittime sono poveri cristi, senza nomi eclatanti o potenti e, soprattutto, quando sono prive dell'assistenza di avvocati abituali del Tempio. Ecco, quindi, che dopo 16 mesi di indagini - qui sì con l'intervento del RIS -, la stessa Procura, con lo stesso Procuratore, condanna quella madre a 4 mesi di carcere perché ha "colto una piccola talea di geranio" che sporgeva dal giardino della casa della madre di suo nipote (che guarda caso continua ad essere sposata con il prosciolto-incensurato). Un delitto gravissimo che aveva "rovinato l'estetica della villa" e che doveva essere quindi punito con pena esemplare!
Nessuno può oggi dire, nemmeno quella madre, che la Giustizia non dia prova del proprio rigore in quella "terra prediletta", peccato solo che tale rigore sfugga quando si tratta di assassini e mafiosi. Senza tale zelo, però, mostrato nell'indagine per "la talea di geranio colta", non ci si sarebbe magari accorti delle carenze investigative per quelle inezie come paiono essere, per certi inquirenti, gli omicidi per mano mafiosa.
Detto questo, che nessuno ha raccontato sino ad oggi, occorre dire che questa storia non fa eccezione visto che, dalle vittime della ‘ndrangheta, giungono altri segnali inquietanti. Sempre, ed ancora purtroppo!
Hanno scelto di denunciare. Hanno deciso di mettere a rischio la propria vita e testimoniare, indicare i carnefici nelle aule dei processi (grazie alla legge sul cosiddetto "giusto processo"). Si sono messi nelle mani dello Stato. Hanno messo la propria vita e quella dei propri cari nelle mani dello Stato! Hanno reso compiutamente fede al dovere di ogni cittadino che non si riduca a suddito. Quindi anche per loro, quelle che si aprono sono le porte per i gironi dell'inferno, come ci raccontano i testimoni di giustizia che oggi, di nuovo, hanno manifestato davanti al Viminale.
Prelevati dalla loro terra, inseriti in programmi di protezione che non funzionano perché prodotti da una legge assurda come la legge 45/2001 (sui collaboratori e testimoni di giustizia). Si vedono la vita "gestita" da una Commissione Ministeriale, a guida politica, e non dalla magistratura. Entrano in balia di procedure che non isolano e deprimono la libertà, come se i criminali fossero loro, i testimoni, e non invece i mafiosi denunciati e condannati. Scarse risorse a disposizione, che ti riducono al lastrico. Nessuna nuova identità che garantisca loro di poter iniziare una nuova vita. Ti cambiano i corso di studio ai figli, ti impediscono di lavorare e di avere relazioni sociali con i tuoi cari. Quello eri prima, con la tua autonomia, lo Stato non te lo garantisce più, mentre non riesce nemmeno a garantirti l'incolumità, come dimostrano i morti ammazzati per vendetta dalle mafie negli ultimi mesi. Tutto questo sino a quando non ti "liquidano" con un gruzzoletto (anche consistente) di soldi e chi si è visto si è visto. In fondo allo Stato, cioè alla Politica che lo gestisce, cosa gli importa che quel "gruzzoletto" venga poi usato per i funerali di nuove vittime della mafia, anzi, se così accade - come purtroppo accade -, queste rappresentano nuove occasioni per parate, cortei, convegni e slogan tuonanti contro le mafie, che qualche d'uno ancora incantano.
Questa è la realtà, non una storia. Non è un interpretazione. I pesanti limiti, come l'insostenibilità della situazione emerge anche con chiarezza dalla Relazione della Commissione Antimafia sui testimoni di giustizia - clicca qui -. Basterebbe ascoltare e rinunciare ad un po' di serenità nelle nostre sicure case per comprendere che chi ha scelto di stare dalla parte della Legalità, difendendo i propri (e nostri) diritti, ha dovuto perdere la sua di serenità, la sua libertà di vivere una quotidianità normale, in cui può lavorare o fare una passeggiate, una vacanza o semplicemente andare a trovare i suoi cari, senza rischiare di finire morto sparato.
Pino Masciari da anni sta girando l'Italia per raccontare questa realtà. Con lui hanno trovato la forza di raccontare la propria esperienza altri Testimoni di Giustizia, altre vittime, come lui, prima dello Mafia e poi di questo Stato, piegato da commistioni e connivenze. Ogni giorno assistiamo a mobilitazioni di quei Testimoni di Giustizia che trovano la forza di raccontare le loro esperienze in cui, dopo la mafia, è lo Stato che gli sottrae libertà e dignità. Ieri, oggi di nuovo, domani ancora. E' una realtà che è davanti a ciascuno di noi! Come è davanti a ciascuno la reazione degli uomini delle Istituzioni, dei Ministri e dei Sottosegretari, davanti alle rivendicazioni sacrosante ad una "vita normale" che provengono dai Testimoni: tentativi di delegittimazione e mistificazione della realtà, nell'estremo tentativo di farli passare come "opportunisti".
Ecco dunque, che ancora una volta l'ipocrisia dello Stato, o meglio dei Politici che governano - ed hanno governato - questo Paese, si palesa davanti ai nostri occhi. Basterebbe fare arrivare quello che vediamo non solo al cervello ma anche al nostro cuore, per fare risvegliare la nostra coscienza e farci muovere qualche istante della nostra vita per loro, cioè per ciascuno di noi.
Noi non smetteremo di abbracciarli, di schierarci al loro fianco... non li lasceremo soli, come pretendiamo che lo Stato risponda, come hanno risposto loro: presente!
PS
La notte scorsa una giovane giornalista ha passato la notte su uno dei più bei tratti del litorale ligure che rischia di essere cancellato dal cemento. Ci ha ringraziato di avergli indicato quel tratto di costa stretto tra le rocce ed il mare, perché ci ha detto che l'alba è stata davvero magnifica...
Sarebbe davvero bello, questa estate, finché questo luogo incontaminato resiste, incontrarci con tutti i testimoni ed i loro cari, per vedere insieme un'alba che significherebbe, forse, che qualcosa è cambiato, se si può essere insieme a vivere e respirare la nostra comune terra.