IL RUOLO DEGLI IMPRENDITORI E' ZEPPO DI MISTERI TRA TANGENTI E PARCELLE
Nessuno ha mai ricostruito la vera
contabilità finale del "dare" e dell'"avere", anche dopo le condanne. Non si sa
neppure chi riuscì ad incassare i risarcimenti (enti pubblici compresi).
Miliardi in parcelle legali (unico salasso certo). Intanto Teardo può godersi
tre mila euro al mese per la pensione di ex presidente della Regione e di
assessore (tre mandati). Come scattò la "trappola" finale, con le cronache
sportive sul "Savona Calcio".
Savona - Era stata la giornalista di
Repubblica-Il Lavoro,
Ava Zunino, ad informarci, per la prima volta,
l'autunno scorso, che
Alberto Teardo poteva godersi una "vecchia serena"
(sarà cosi?) grazie alla Regione Liguria di cui era stato presidente ed
assessore. Tre legislature (l'ultima interrotta per candidarsi al Parlamento,
ma arrivarono le manette a sorpresa) con una ricompensa mensile di tre milioni
netti al mese. Denaro versato per intero, senza pignoramenti di un quinto da
parte di eventuali creditori (Stato o privati). E qui si apre il capitolo della
quindicesima puntata del "ciclone Teardo", a 28 anni dall'inizio
dell'inchiesta, a 25 dai primi arresti.
Il ruolo che ebbero gli imprenditori
savonesi, in gran parte. Per i difensori degli imputati non erano concussi,
semmai corruttori o addirittura finanziatori volontari di un partito che allora
aveva potere o sapeva esercitarlo. La
Dc per anni aveva instaurato il metodo del contributo
volontario, del riconoscimento da parte dell'imprenditore che faceva affari ed
appalti nel "pubblico".
I metodi cambiarono con l'avvento
del craxismo ed il teardismo fu il primo, almeno per quanto è dato a sapere, a
pretendere tangenti a percentuale.
Quando riveleremo (lo avevamo promesso
nelle prime puntate) come si arrivò alla "resa dei conti finale", sarà più
facile capire cosa accadde realmente in quel mondo, tra gli imprenditori
savonesi.
Un "segreto", un retroscena, lo
ripetiamo, che neppure i magistrati inquirenti forse conoscono. A loro del
resto non interessava capire il vero meccanismo che fece esplodere il
"bubbone", ma raccogliere indizi e prove. Di colpevolezza o innocenza. Cosa che
i giudici istruttori
Francantonio Granero e
Michele Del Gaudio,
grazie ad uno staff di ottimi collaboratori (Carabinieri, Guardia di Finanza,
Polizia), fecero con capacità, determinazione, scrupolo e indipendenza.
Con altrettanto senso dello Stato e
della giustizia si mosse il tribunale di Savona, chiamato a giudicare (
Avolio,
Fiumanò,
Ferro (estensore della motivazione della sentenza).
Il verdetto finale (confermato con
sentenza passata in giudicato) dice, in parole povere, che gli imprenditori
furono costretti a pagare al "clan" perché intimoriti da
pubblici-amministratori che ricoprivano anche la veste di pubblici ufficiali.
Non solo, in quel periodo si registrarono anche una serie di misteriosi
attentati a cantieri edili, ad opera di ignoti. E ancora qualcuno venne
"minacciato" di essere tagliato fuori dagli appalti pubblici. O di trovarsi
alle calcagna dei concorrenti temibili.
A pagina 445 della sentenza di
Savona (danni materiali e morali) si legge che enti pubblici e privati sono
stati esclusi, va da se, da ogni richiesta risarcitoria per tutti quei capi di
accusa a cui non è seguita una condanna e sono diversi i capi di imputazione
che scagionano gli imputati.
LA LISTA DEGLI IMPRENDITORI
Accade esattamente l'opposto per gli
addebiti, con conseguente condanna.
Vediamoli singolarmente, sempre
seguendo, la motivazione della sentenza di primo grado. Si all'imprenditore
Lorenzo
Tortarolo, vittima di concussione, ad opera di
Giovanni Dossetti. Si
alla richiesta danni dell'
Iacp nei confronti dello stesso
Dossetti,
poi di
Alberto Teardo,
Marcello Borghi,
Massimo De Domenicis
e
Roberto Bordero (per lui l'addebito minore della ricettazione). La
stessa sentenza riferisce un passo delle dichiarazioni di
Domenico Abrate,
il quale parla dello
Iacp (appalti e forniture, gare) come dell'ente più
corrotto della provincia di Savona. Sarà il presidente
Pietro Bovero, vedi
vignetta satirica sul giornalino dell'Unione industriali savonese, ad
ingaggiare con lo stesso
Tortarolo, una durissima battaglia legale e
giudiziaria (con l'avvocato
Emilio Vignolo) per lavori mal eseguiti
nella costruzione di case popolari, ma anche nei confronti dei pubblici
amministratori.
Si alle domande risarcitorie
per la "Spa I.CO.SE",
Mario De Filippi,
Rocco De Filippi;
per la Spa Damonte
Emanuele e C:
Bruno Damonte,
Giovanni Damonte, per
Giampietro
Sartore (gruppo Lombardini),
Piersanto Ghigliazza, nonché la
Provincia di
Savona nei confronti di
Teardo,
Capello, Dossetti, Siccardi e
Domenico Abrate, limitatamente ai fatti posteriori al 1980.
Ghigliazza,
inoltre, ha agito solo contro
Siccardi e non verso gli altri imputati.
Dagli atti emergono ottimi rapporti di amicizia tra
Siccardi e
Piersanto
Ghigliazza ed un altro teste importante, il geometra
Piero Nan del
Comune di Loano, per mai provate storie di tangenti. Una delle tante pagine
rimaste oscure nel grande "puzzle".
Si alle domande risarcitorie di
Brosito
Bogliolo della ditta Agostino Bogliolo, nei confronti di
Teardo, Capello
e Pierluigi Bovio, sindaco di Borghetto (definitivamente assolto negli
altri gradi di giudizio). Si al risarcimento al Comune di Borghetto per alcuni
appalti.
Si al risarcimento ai danni
del
Comune di Savona e ancora di
Bogliolo per opere che
quest'ultimo stava realizzando in città, nei confronti di
Teardo e Siccardi.
Si alla richiesta danni dello
Iacp nei confronti di
Nicola Guerci (unico imputato ad aver confessato e
risarcito i danni alle parti civili già nelle prime fasi),
Marcello Borghi
per la concussione al geometra-appaltatore
Stefano Cutino che negli anni
successivi sarà al centro di un ingente fallimento, con vendita di tutte le
proprietà.
Si alle domande di danni avanzate
dal
Comune di Finale nei confronti di
Teardo, Capello,
Siccardi, per l'appalto del porticciolo.
Si alle domande della
Damonte
Emanuele Spa, contro Teardo, Capello e Dossetti per altra concussione.
Si ai danni richiesti dal
Comune
di Savona e dalle
Opere Sociali con
De Dominicis e
Benazzo
per l'accusa minore di interessi privati in atti d'ufficio.
La lista delle imprese comprende
ancora
Giampietro Sertore, rappresentante di
"Cave Strade" (gruppo
Lombardini), Angelo Freccero, rappresentante della
Mantobit snc.
I DANNI DA LIQUIDARSI A PARTE
Il tribunale di Savona e poi la Corte d'appello disposero
che l'ammontare del risarcimento dovesse procedere ed essere determinato
(quantificato) in separata sede, cioè con un altro giudizio civile, oltre al
pagamento delle spese di costituzione di parte civile. A Savona furono
fissate per l'
Iacp in un milione 600 mila lire a carico di
Teardo,
Borghi, De Dominicis, Dossetti e Bordero.
Stesso discorso per i danni alla
Provincia, liquidarsi in separata sede, spese liquidate in 3 milioni a carico
di
Teardo, Capello, Abrate (solo dopo il 1980),
Dossetti, Sangalli.
In favore del
Comune di Finale,
chiamati a risarcire 3 milioni (danni a parte),
Teardo, Capello, Siccardi.
Teardo, Capello, Siccardi, chiamati a risarcire le spese
per 3 milioni e 600 mila lire (danni a parte) a
Brosito Bogliolo.
Dossetti Giovanni chiamato a risarcire a
Lorenzo
Tortarolo un milione 600 mila per spese, danni a parte.
Teardo, Capello, Siccardi chiamati a risarcire spese per un
milione 600 mila (danni a parte) al
Comune di Borghetto Santo Spirito.
De Domincis e Benazzo chiamati a pagare spese per
un milione e 600 mila (danni a parte) alle
Opere Sociali (vicenda villa
di via Nizza-Teletrill).
Teardo, Siccardi, De Dominicis,
Benazzo, chiamati a
risarcire 3 milioni di spese al
Comune di Savona.
Teardo, Capello, Abrate, Sangalli,
Dossetti, Siccardi,
con la formula in solido tra loro, chiamati a risarcire spese per 3 milioni e
600 mila (danni a parte) a
Mario e Rocco De Filippi.
Teardo, Capello, Abrate, Sangalli,
Dossetti e Siccardi,
chiamati a risarcire spese per 3 milioni e 600 mila (danni a parte) a
Bruno
e Giovanni Damonte.
Teardo, Capello, Abrate (solo dopo
1980), Sangalli, Dossetti, Siccardi, condannati a risarcire 3 milioni a
Giampietro
Sertore/Lombardini (danni a parte).
Siccardi chiamato a risarcire a
Piersanto
Ghigliazza spese per un milione e 600 mila (danni a parte).
Altra nota, anche l'impresa dei
fratelli
Giuseppe e Giovanni Dossetti qualche anno dopo si trovò al
centro di un totale dissesto finanziario e finirono sul lastrico.
IL RISARCIMENTO EBBE SORTI
DIVERSE
Cosa è successivamente accaduto?
Premettiamo che nessuno pare sia riuscito ad avere il quadro-contabilità
preciso dei soldi che effettivamente gli imprenditori incassarono dagli
imputati condannati con sentenza definitiva. C'è chi, ad esempio, tra i
costruttori, si è costituito anche nel giudizio in Corte d'appello a Genova e
poi ha rinunciato in Cassazione dove solo un piccolo gruppo di "parti civili"
ha ritenuto di essere presente. Non sappiamo come furono precisamente ripartite
le spese di giustizia a carico degli imputati.
In pratica è accaduto che le spese
legali affrontate dai concussi dall'associazione a delinquere sono state di
gran lunga superiori ai risarcimenti ottenuti.
Non è stato neppure possibile sapere
(perché mai reso noto) quanto abbiano effettivamente introitato gli stessi enti
pubblici che erano parte civile.
E' accaduto ciò che con frequenza si
verifica nei processi civili e penali, particolarmente complessi. La vera
"stangata" arriva dagli studi legali. Assai più salata di qualsiasi pena
inflitta dalla giustizia, carcere escluso.
Ad
Alberto Teardo, ad
esempio, il battagliero avvocato della prima ora, Silvio Romanelli, presentò
una parcella a nove zeri (miliardi). Non sappiamo come andò a finire. Il
secondo avvocato
Vittorio Chiusano si "accontentò" con alcune centinaia
di milioni.
Calcoli ufficiosi, raccolti negli
stessi ambienti del foro di Savona e Genova, davano allora (fine processo, ci
fu infatti un quarto grado in Corte d'appello a Genova e poi la Teardo-bis, assai più
breve e concisa) notizia che per le spese legali si andava da una ventina di
milioni (siamo negli anni '80, tra la metà e la fine) per l'imputato meno
compromesso, ai miliardi di Teardo, con una media, sempre fatta con l'ipotesi
di addetti ai lavori, di 200 milioni ad imputato.
Naturalmente emerse anche qualche
eccezione. Negli appunti di archivio abbiamo, ad esempio, i casi assistiti
dall'avvocato
Umberto Cavallo ed
Antonio Di Maggio. Mentre
sorsero seri problemi, altro caso, nelle parcelle dell'avvocato
Pier Mario
Calabria con
Leo Capello. Altri mitigarono le loro pretese come
Umberto
Ramella (assisteva
Gianfranco Sangalli).
PIU' CARA LA PARCELLA O LA TANGENTE?
La conclusione è disarmante. Per un
imprenditore al centro di "tangenti" è più conveniente pagare e rifarsi poi con
le "maggiorazioni" SUI LAVORI, piuttosto che imbarcarsi in un processo, con i
tempi lunghi della giustizia. Si capisce perché l'allarme "corruzione in
Italia" è tra i più alti d'Europa (prima in classifica), come denuncia anche la
Corte dei Conti,
ma il coperchio salta assai di rado. Vedi ultimi anni in provincia di Savona.
E poi i metodi si sono assai raffinati.
Ci sono gli intermediari, le fatture fasulle, gonfiate, i contanti depositati
su banche estere, nei paradisi fiscali. I prestanome. Meglio se si trovano
"professionisti" che svolgono doppi ruoli.
Allora, come documentarono le carte,
vennero messi in atto metodi assai spiccioli, persino tracce di assegni, di
società d'affari ad hoc. Oltre al denaro alla corrente teardiana (che spendeva
per mantenere in piedi l'apparato) c'è stato un "pro domo mea", che il giudice
Ferro
ha definito "arricchimento personale". Chi più, chi meno. Spese per amanti
varie incluse.
Una pentola che esplose non perché
cosi lo decisero gli imprenditori e tantomeno le categorie a cui appartenevano.
CHI TRADI' IL CLAN NON
ERANO LE VITTIME
Un "passaparola" che, in loggia
(MASSONICA), doveva restare riservato ai "fratelli" (a chi sapeva ed era in
formato dell'andazzo). E' finito, INVECE, alle orecchie di qualcuno. E
non fu facile mettere in moto l'"antifuoco" perché come dimostrarono le prime
mosse, laddove si doveva indagare (Procura della Repubblica e qualche apparato
istituzionale annesso) c'era "spettatore" (per non dire di più). Gli
imprenditori e (consulenti vari) sapevano che non potevano fidarsi, ribellarsi,
conoscevano "l'aria che tirava". Esporsi era davvero rischioso.
Basti pensare alla sorte dei primi
esposti antitangenti. Con quel bigliettino scritto a mano, consegnato alla
polizia giudiziaria per "indagini e rapporto". A buon intenditor, poche parole.
Questo era il clima che si respirava in alcune stanze delle cosiddette
istituzioni democratiche in quegli anni.
L'occasione propizia arrivò con la
scusa dei finanziamenti al "Savona Calcio". Il "gruppo Teardo" aveva anche
giornalisti amici (con un massone), ossequiosi, poteva contare sulla loro collaborazione
involontaria. Ci sono gli articoli che precedono proprio i primi eventi seri,
concreti, dell'inchiesta.
LA TRAPPOLA CON I GIORNALISTI AMICI
Insomma, la "trappola" quando ancora
non entrarono in scena i giudici-pilastro
Granero e
Del Gaudio,
iniziò con questi scenari. Chi pagava tangenti si confidava, qualcuno teneva
d'occhio il gruppo per "capire". I segnali avvenivano cavalcando notizie del
potenziamento della squadra (Savona-calcio), progetti, programmi societari,
ingresso di nuovi soci. In pratica chi "chiedeva soldi" asseriva che da una
parte servivano alla squadra e dall'altra erano spese per rafforzare il partito
del "capo". Inconsapevoli giornalisti facevano il loro dovere da cronisti
sportivi, mentre tutto attorno si muoveva una giostra di bustarelle.
Finchè arrivò l'ora X, il magistrato
X (
Camillo Boccia) che chiese come previsto l'archiviazione
dell'inchiesta sui finanziamenti al
Savona-Calcio con la formula del
decreto <di impromovibilità dell'azione penale per mancanza di estremi di reato",
era i 3 novembre 1981. E un altro (
Antonio Petrella, dalla procura era stato
trasferito a capo dell'Ufficio istruzione del tribunale) che invece ordinò
(5 novembre 1981, due giorni dopo
)<che la fattispecie va adeguatamente
approfondita, giacchè la notizia criminis, fornita dall'esponente (Renzo
Bailini), che non risulta essere stato sentito in sede di indagini preliminari,
appare concreta e suscettibile di individuazione di ipotesi criminose e dei
loro autori>.
Petrella ( a lui gran parte del merito di
quell'atto di pulizia generale) disponeva di <procedere oltre con il rito
formale>. Sapeva che avrebbe dovuto lasciare quell'ufficio al 31 dicembre
1981, lo sapevano anche altri. Non era un segreto nelle stanze della cittadella
giudiziaria, eppure qualcuno intuì che c'era il rischio che l'uovo di rompesse
e non mancarono le minacce (telefonate minatorie al suo numero privato, con
allusione ai figli).
Il gruppo, ancora forte nelle
istituzioni (non fecero però il conto con il ruolo che avrebbe avuto, tra gli
altri,
Sandro Pertini), nei giornali, iniziò il primo sbarramento contro
Il Secolo XIX (processo per diffamazione e violazione del segreto
istruttorio e maxi-richiesta danni e di cui abbiamo già scritto).
Arrivò a capo dell'Ufficio del
giudice istruttore un coriaceo ed inattaccabile
Granero e dar manforte
ad un timoroso, seppure preparato ed onesto,
Del Gaudio. Ci fu anche la
piena collaborazione del Pm,
Giuseppe Stipo (prime richieste di ordini di
cattura).
Quando già lo stesso
Del Gaudio,
temeva di "non farcela", temeva ritorsioni, di non trovare il "bandolo della
matassa", ancora un provvidenziale
Renzo Bailini che fornisce alcuni
nomi, dopo l'iniziale esposto-bis del 27 ottobre. E' la dritta "sicura",
giusta. Su un conto dell'
Ambrosiano, a Savona (l'ex banca di Calvi) si
trovano tracce (libretti al portatore), conti correnti che conducono ai
fratelli
Giovanni e Giuseppe Dossetti, a
Elisabetta Murialdo in Valle.
LE ULTIME DRAMMATICHE FASI
Entrava a quel punto in scena
Carlo
Trivelloni (in precedenza, quale consigliere comunale indipendente della
sinistra, aveva scritto una lettera aperta al Secolo XIX chiedendo
pubblicamente a Teardo se erano vere le voci relative alle sue fortune
economiche e altro..).
Trivelloni - questo lo rivela anche la
sentenza di Savona - disse di aver ricevuto una telefonata anonima che parlava
di operazioni finanziarie di
Teardo compiute da
Lorenzo Ivaldo,
Mauro
Allosia,
Ippazio Scarcia, l'architetto
Nino Gaggero e dal
figlio
Paolo, dal genero di lui, dal prof.
Alessandro Destefanis,
oltre a notizie relativi a collaboratori del presidente della Regione. I nomi
che compaiono nella sentenza hanno visto poi imputato esclusivamente
Nino
Gaggero.
I tasselli successivi furono
Nicolino
Bongiorni e
Antonio Vadora di Finale. Il primo affermò di aver
prestato 60 milioni, in assegni circolari da 10 milioni ciascuno, a
Teardo
a titolo di amicizia per la campagna elettorale,
Vadora ammise un
versamento di 39 milioni a
Mirella Schmidt, moglie di Teardo. Precisando
che si trattò di un cambio assegni bancario in assegni circolari. Sempre alla
vigilia del grande blitz del 14 giugno 1983, tocca agli agenti
immobiliari
Michele Panero e
Carlo Pregliasco che ammettono di
aver pagato una "provvigione" di 182 milioni per vendite fatte da
Isabella
Invrea a Varazze. Somma suddivisa tra
Marcello Borghi,Teardo e Siccardi.
Ormai il diluvio era iniziato. La efficiente macchina investigativa ed
organizzativa (per la prima volta in Italia un processo venne coadiuvato da un
sistema tecnologico computerizzato) messa in piedi da
Granero (con
Del
Gaudio infaticabile esecutore) cominciava a dare i suoi frutti. Dovettero
usare mille precauzioni (due i collaboratori infedeli scoperti), si
trasferirono persino nel comando carabinieri di corso Ricci. Blindarono gli
uffici istruzione nel vecchio tribunale con vetri antiproiettile.
Peccato che lo Stato, soprattutto
nei loro confronti, alla fine sia stato molto ingrato. Anche se non furono i
soli a pagare per aver fatto il loro dovere. Il potere occulto tornò a farsi
sentire, o meglio a rimettere le "cose a posto". Toccò analoga sorte a qualche
altro dipendente dello Stato. Per alcuni un'esperienza di dedizione al dovere,
da non ripetere. Per altri il ricordo di aver partecipato ad un "vento
storico". Dovesse ripresentarsi, meglio lasciar fare agli altri. Fare il meno
possibile, l'indispensabile. Accadde anche in qualche giornale, ma di questo
parleremo in altre puntate.
Luciano Corrado