IL MARESCIALLO RACCONTA: <L'AIUTO DEI MIEI CONFIDENTI>
Moretti, per la prima volta, parla di quei giorni con
Trucioli Savonesi...
Savona - Il "ciclone Teardo". Chi sono
gli inquirenti mai comparsi sui giornali o in tivù ? Operavano dietro le
quinte, pur avendo un ruolo delicato nelle indagini. Le cronache portarono alla
ribalta magistrati, giudici, ufficiali con le stellette. Oppure difensori di
imputati e di parti lese. In questa diciannovesima puntata parleremo di un
maresciallo dei carabinieri,
Pietro Moretti. Un servitore dello Stato
riservato e rimasto lontano dai riflettori. In pensione dal luglio 1987, dopo
aver comandato, per 22 anni, la squadra di polizia giudiziaria. Il primo
a citarlo, nel febbraio 2007, è stato l'ex generale dei carabinieri,
Nicolò
Bozzo, nel libro "
Nei secoli fedele allo Stato". E ancora, ha
"scoperto" il maresciallo
Moretti, con un'interessante intervista,
Massimo
Macciò autore del libro
"Le bombe di Savona- Chi c'era racconta".
Per la
"Teardo story" è stato
Pietro Moretti che prese a verbale
l'esposto-denuncia di
Renzo Bailini, con l'avvio formale dell'indagine
(ottobre 1981). E'
Moretti che nei due anni precedenti ai primi
clamorosi arresti (14 giugno 1983), seguì passo, passo la fase preliminare.
Toccò a lui
scoprire, in tribunale, la "talpa", che passava notizie riservatissime ad un
avvocato. E'
Moretti che "coordinava" i 21 telefoni sotto
controllo nella "sala d'ascolto", ospitata al piano terra del vecchio
tribunale, a palazzo Santa Chiara. Fu
Moretti a vanificare, grazie ad un
prezioso informatore, il nascondiglio-fienile dove il cassiere del "clan",
Leo
Capello, custodiva gran parte della "contabilità segreta", il libro-mastro
della spartizione delle tangenti, scampato ad una prima perquisizione. Fu
un'intuizione di
Moretti a sventare il tentativo di
Alberto
Teardo di far sparire la "24 ore" al momento dell'arresto e perquisizione
domiciliare. Era
Moretti che, in sella ad un motorino, si spostava da un
angolo all'altro di Savona per verificare incontri e spostamenti dei
"pedinati".
Oggi il
maresciallo
Moretti ha raggiunto le 77 primavere. Padre di due figli,
quattro nipoti, vive con la moglie, insegnante in pensione, un riposo fitto di
ricordi, aneddoti. Alle sue spalle una montagna di fascicoli, rapporti
giudiziari, interrogatori. La cronaca nera e giudiziaria di un quarto di secolo.
Casi risolti e misteri insoluti.
Non è
stato facile convincerlo che era utile, a fini storici, anche la sua
testimonianza. Proprio lui che, in divisa o meglio in borghese per il suo
ruolo, non aveva mai "voluto parlare" con i cronisti che incontrava quasi tutte
le mattine, a palazzo di giustizia o al comando di Corso Ricci. In centinaia di
occasioni arrivava sull'auto dei magistrati: delitti, rapine, interrogatori di
arrestati, inchieste. E'
Moretti che riceva, dai magistrati inquirenti o
dai giudici istruttori, i fascicoli relativi
<a indagini e rapporto>.
Custodiva, insomma, molti segreti di una provincia. Ha lavorato quando alla
Procura della Repubblica si sono avvicendati i "procuratori capo"
Torres,
Tartuffo,
Boccia e
Russo.
Maresciallo,
nessuno ha mai raccontato le ore immediatamente precedenti il primo "blitz"
antiteardiano...
Moretti: <Dopo quasi due anni di
accertamenti, riscontri, acquisizioni, testimonianze, arrivammo alla vigilia.
Com'era abitudine, mi recavo quasi tutte le mattine nel vecchio tribunale a
conferire con Granero e Del Gaudio. Sapevo che eravamo agli sgoccioli, ma non
ero certo io a decidere. Quella mattina mi dissero che erano pronti, bisognava
preparare la retata, senza farsi scappare nessuno. L'allora comandante del
Gruppo di Savona, Nicolò Bozzo, si era recato a Milano per una riunione
di lavoro. Gli telefonai e si precipitò a Savona...>.
Chi
teneva d'occhio Teardo ed amici, allora era presidente della Regione...
Moretti: <
Ricordo come fosse oggi, la
vigilia. La sera prima avevano organizzato una cena elettorale nella trattoria
a Madonna del Monte. L'informatore mi descrisse persino come erano
seduti ad un tavolo a ferro di cavallo. Erano presenti quelli che sarebbero
stati arrestati, ma anche altri...>.
Teardo
era candidato al Parlamento, si parlava sui giornali, come lui stesso poi
confermò, di un incarico governativo, sottosegretario. Non "pesava"? Timori?
Moretti: <
Dico soltanto che si parlò,
come ovvio, delle elezioni. Ricordo che Del Gaudio era il più
determinato, ripeteva "dobbiamo fare il nostro dovere fino in fondo,
nessun rinvio". In parole povere, lui dell'inchiesta è stato, come si è già
scritto, la "mente", la "penna", Granero il "braccio", un ottimo organizzatore,
coordinatore. Entrambi scrupolosi, meticolosi, riservati>.
Come organizzaste la
retata? C'erano rischi di fuga...di talpe...
Moretti:
<Con Granero, Del Gaudio e
mi pare Giuseppe Stipo in caserma, il colonnello Bozzo alla scrivania, si
organizzò nei dettagli l'operazione arresti e perquisizioni, mobilitando tutti
i comandi della provincia, assegnando compiti e ruoli...C'era un logistica: dove
trasferire i detenuti, provvedere alle perquisizioni. Un lavorone. Ognuno un
compito, una mansione e massima riservatezza >.
Le
intercettazioni telefoniche, non si disponeva ancora della tecnologia di oggi,
vi furono di aiuto?
Moretti:
<Granero e Del Gaudio
disposero che la sala d'ascolto che era divisa tra polizia, carabinieri e
guardia di Finanza, fosse unificata e concentrata. Eravamo in tre, 12-14 ore al
giorno di lavoro. Io continuavo a spostarmi in motorino...verificare gli
incontri, riferire ai giudici>.
Quale fu la sorpresa,
tra le intercettazioni, che più le restò impressa?
Moretti: <Ci sono aspetti delicati di
cui non intendo parlare, alcuni sconfinano anche nella sfera della vita
privata. Si è già scritto di una "talpa", anzi ce ne fu pure una seconda...Nel
primo caso mi occupai personalmente. Tra i 21 telefoni controllati, emerse che
tale Panero conversando con tale Pregliasco disse che
avrebbero dovuto incontrarsi in quanto era in programma un interrogatorio di
Teardo...informai subito Del Gaudio e Granero; avevo un piccolo registratore e
feci loro ascoltare... la cosa creò disagio ed interrogativi perché solo un
"addetto ai lavori" poteva essere informato. Si scoprì che era una
segretaria del tribunale, non c'era un problema di bustarelle, ma di cuore.
Aveva una relazione con un giovane avvocato...>.
Ci
furono altre conseguenze? E' vero che in un caso si finì per intercettare anche
il Quirinale, ai tempi di Pertini?
Moretti: <I giudici parlarono con il
colonnello
Bozzo e decisero di trasferirsi nella caserma di Corso Ricci.
Devo ammettere che per
Bozzo fu una decisione coraggiosa, perché nel
frattempo mi pare che
Craxi fosse diventato presidente del consiglio e
in più occasioni fece sentire la sua voce...Sul Quirinale nessun segreto, ci sono
atti pubblici>.
A
proposito di aspetti inediti, ricorda come fu sventato il tentativo di Teardo
di disfarsi della "valigetta" contenente materiale, diciamo "scottante" e poi
finito tra gli elementi probatori dell'accusa e delle motivazioni di condanne?
Moretti:
<L'esperienza è stata di
aiuto. Nella fase preparatoria si pensò anche che all'esterno delle abitazioni,
dove necessario, dovessero esserci dei carabinieri. E questo permise di
scoprire che Teardo quando sentì il campanello e chi suonava, ancora in
pigiama nascose una valigetta, mi pare sul terrazzino dei vicini; i carabinieri
notarono il maldestro tentativo...>.
E la
storia della cassaforte nell'albergo di Leo Capello a Spotorno? Sorsero
parecchi dubbi e dicerie...
Moretti: <Non mi sembra corretto,
anche a distanza di anni, lasciare ombre, illazioni. Si era trattato di una
banale dimenticanza, come può accadere in ogni operazione complessa. Chi si era
recato in albergo dovendo pensare all'incombenza di "prelevare" l'arrestato e
operare la perquisizione, una volta giunti in caserma ammise che la cassaforte
non era stata aperta in quanto non si era trovata la chiave. Alla richiesta se
avesse, provveduto a mettere dei sigilli e che questo non era accaduto, si è
tornati a Spotorno, ma la cassaforte ormai era vuota. Conoscendo bene la zona e
grazie ad informatori, risalimmo all'esistenza di un nascondiglio-pollaio in
località Metti, sulla collina di Spotorno. E la perquisizione diede buoni
risultati, si trovò un' agenda, fogli, tanto materiale utilissimo. Ricordo che
Granero mi fece i complimenti. Quel materiale era il "cacio sui maccheroni".
Impresse un'ulteriore svolta, oltre a confermare il certosino lavoro della
guardia di Finanza nella banche>.
A proposito, c'era
anche Renzo Bailini tra gli informatori più assidui?
Moretti: <Mai avuto rapporti con
lui. Ricordo come fosse ieri, la mattina che, per caso, lo trovai
nell'atrio della Procura. Protestava perché, a suo dire, un precedente esposto
era andato perso... lo invitai a seguirmi in caserma e qui che, secondo il
linguaggio burocratico, feci un verbale di ricezione di denuncia...di lui, del
suo passato non sapevo nulla>.
Il
maresciallo
Moretti ci tiene a ricordare che il suo ruolo è stato quello
di un "lavoro di squadra". Molti altri, vuole rimarcare, hanno lavorato,
operato con impegno, dedizione, professionalità. E come lui, rimasti
nell'ombra. Suoi colleghi dell'arma, ma soprattutto la Finanza, la polizia.
L'unico momento di svago tra chi non contava orari, né straordinari, erano
stati alcuni incontri conviviali. Momenti di raro relax, in giorni, mesi, in
cui Savona era finita alla ribalta della cronaca nazionale. Con due magistrati,
per la prima volta nella storia savonese, "sotto scorta", con auto "blindate",
vetri degli uffici corazzati.
Quattro
anni dopo gli arresti,
Moretti andrà in pensione. Uno dei protagonisti
di quelle pagine destinate alla storia, lasciava il servizio quasi
nell'anonimato. Il suo nome non si trova nelle cronache e nelle pagine di quei
giorni. Una sua abitudine: quando scorgeva i fotografi, faceva in modo di
"nascondersi".
E c'è da
scommettere che senza la spinta di quel suo ex ufficiale, con quelle
citazioni nei due libri,
Pietro Moretti avrebbe continuato a tacere.
Alle sue
spalle una storia avvincente, di uomo in divisa che ha "sacrificato una vita
per servire lo Stato democratico, i cittadini, la legge, la giustizia. Ha
superato anche momenti da dimenticare.
Pietro
Moretti è nato a
Pareto (Cuneo). Si è arruolato nell'Arma nel 1948. Undici mesi di scuola
allievi a Roma. Poi al battaglione di Palermo. Sei anni in Sicilia. La prima
stazione dei carabinieri dove ha prestato servizio era a Piano dell'Occhio, una
caserma isolata, sulla strada tra Palermo e Montelepre, il paese di
Pisciotta.
(<Quando uscivamo a fare la spesa - ricorda Moretti - dovevamo essere non
meno di cinque e sempre armati>). Poi due anni alla stazione di Cinesi. In quel
periodo il giovane carabiniere
Moretti vede il cadavere di
Salvatore
Giuliano, a Castelvetrano. Era il 1951. Il bandito fu avvelenato, scaricato
morto, fatto segno a colpi d'arma da fuoco alla schiena, da messinscena.
Moretti presta servizio pochi mesi a San
Giuseppe Iato, il paese di
Brusca, nelle "squadriglie". Ricorda che dopo
la morte di
Giuliano le squadriglie (CFRB, comando forze repressione
banditesca) al comando del colonnello
Luca, furono ridotte. Ricorda il
capitano
Perez. Ricorda che tra i confidenti c'era
Pisciotta (cugino
di
Giuliano) e girava col tesserino dei carabinieri. Ricorda la
rocambolesca fuga dello stesso
Pisciotta che non fidandosi più del CFRB,
preferì farsi prendere dalla polizia, in casa. Quel giorno
Moretti
partecipava ad un posto di blocco e vide prima arrivare, poi ripartire l'auto
della polizia.
Dalla
Sicilia alla Liguria. Alla stazione di Ventimiglia Alta. Ricorda
quell'interminabile viaggio in treno, da Palermo. Obbligo ferreo di indossare
la divisa. Alla stazione di Savona,
Moretti, vede salire il controllore.
Controllando il biglietto, le stazioni di partenza e arrivo esclamò:
<Lei
va a Montelepre...rimasi stipito..>.
In effetti
a Ventimiglia Alta, in quegli anni, erano quasi tutti siciliani. Gente che
cercava di emigrare in Francia e veniva rispedita oltreconfine. Una delinquenza
da far spavento, poco da invidiare a quelle zone dell'isola che aveva lasciato.
La stazione dell'arma era comandata dal maresciallo
Briozzo, valente
sottufficiale, originario di Calizzano, vissuto a Diano Marina.
<Un
periodo duro, difficile - ricorda
Moretti - alle prese con clandestini,
ed almeno due o tre maxi rissa a notte. Molte armi in giro. Con una cinquantina
di delinquenti della zona di Ramacca, Racalmuto, Palma di Montechiaro>.
Quindi due
anni in servizio a Noli.
<Indossavamo ancora la divisa di tela, zainetto
e moschetto a tracolla, servizio in bicicletta, col caldo e col sudore>.
E' qui che Moretti conosce la persona che diventerà sua moglie. Fedele compagna
di vita e di traslochi, mamma premurosa.
Da Noli a
Finale Ligure, al comando della squadra di polizia giudiziaria, in pretura
c'era il giudice
Giuseppe Giordano, poi destinato al tribunale di
Savona e per anni presidente della Commissione tributaria di primo grado.
Dopo un
anno e mezzo, a seguito di domanda di matrimonio,
Moretti viene
trasferito a Genova, al Nucleo di polizia giudiziaria che aveva giurisdizione
sull'intero territorio ligure. Lo segue la moglie, insegnante di ruolo, al
Turchino. E qui, sorpresa inattesa, col sì al matrimonio nuovo trasferimento,
questa volta a Torino. C'è bisogno dell'esperienza di
Moretti e
finisce al Nucleo di polizia giudiziaria, con un arretrato spaventoso. Pile di
fascicoli inevasi sul pavimento.
Aneddoto
curioso. Moretti nel nucleo torinese ha tre "superiori": Troia, Vacca, Capra.
Altro che stalla! Umorismo a parte, lavora sodo, conquista la stima di tutti.
Esaurisce l'arretrato. Lui a Torino, la moglie a Genova.
<E' stata
una donna eccezionale, mi ha sempre aiutato a superare anche i momenti
difficili...>.
Pietro
Moretti
conquista, con pieno merito, il grado di brigadiere e riesce a tornare a Genova
che definisce
<una bellissima città, rispetto a Torino>. Cinque
anni nel capoluogo ligure, poi di nuovo a Savona, nella squadra di polizia
giudiziaria, con competenza a livello provinciale, prendendo il posto del
maresciallo
Amico.
A Savona ha
vissuto il periodo delle "bombe" del '74-‘75 (ha seguito a fondo solo
l'attentato al traliccio di Madonna degli Angeli, da qui il suo intervento
raccolto nel libro di
Macciò). L'inchiesta su Teardo e tantissime altre
vicende, grandi e piccole, note e meno note. Con l'avvento del procuratore
Michele
Russo sorsero problemi. Negli ultimi mesi, fu il comandante del Gruppo,
Massimo
Cetola, che preferì spostarlo al Nucleo operativo.
<Di Cetola ricordo
incoraggiamenti e solidarietà>.
E' in quel
periodo che
Moretti si trova al centro di quella che può essere definita
"disgrazia". A causa di una lotta intestina, spiacevolissima, per la
cooperativa edilizia dei carabinieri, a Legino.
Moretti nel
mirino di un'inchiesta, lotta con tutte le sue forze e non pochi dispiaceri
(<E'
difficile dimenticare il trattamento che ricevetti da Russo, le sue parole...mi
ferirono al punto che un giorno stavo perdendo le staffe mentre ero nel suo
ufficio..>.
Lui che
aveva servito la giustizia, la legalità, doveva difendersi da accuse da
"ingiustizia", bersagliato da esposti. Un'esperienza da dimenticare e che pesa
nei ricordi. <
Compresi - ripete -
quegli articoli, quei titoli
ingenerosi, proprio sul Secolo XIX, per me erano un vero e proprio colpo al
cuore>.
E'
l'ingrato lavoro del cronista.
Moretti e non solo, ricorderà le cronache
che coinvolsero lo stesso procuratore
Russo qualche anno dopo. Le
locandine in mostra davanti alle edicole. Anche
Russo non si stancava di
protestare innocenza e "vittima", a suo dire, dell'ingiustizia.
E' sempre
lo stesso cronista che oggi raccoglie inedite testimonianze di un servitore
dello Stato entrato, di diritto, nella storia della provincia di Savona.
Moretti
<
cammina a testa alta>, coltiva in buona salute (un
occhio l'aveva perso in servizio) i suoi hobby: il miele, le api, l'orto,
l'operosità.
Lunga vita,
caro maresciallo!
Luciano
Corrado